Questo articolo vuole raccontare le bellezze, le caratteristiche tipiche, le storie e le esperienze che è possibile vivere in questo borgo Bandiera Arancione. In un momento di incertezza e di emergenza sanitaria che costringe tutti a una maggiore prudenza e cautela, vuole ispirare il lettore, far conoscere le eccellenze dei piccoli borghi e permettere di arricchire la propria "lista dei desideri" fornendo spunti e suggestioni che potrà poi andare a scoprire di persona non appena possibile.
Quale che sia la stagione in cui arrivi a Gressoney-Saint-Jean la prima cosa che viene da fare è guardare in alto. Guardare e rimanere ammirati dalla bellezza del massiccio del Monte Rosa, dall’imponenza del suo profilo che domina tutta la valle del Lys e la chiude. In questo periodo a questa altezza, il paese si trova a 1.385 metri d’altitudine, il paesaggio è inondato di bianco e nelle giornate di sole, quando magari la valle è ancora in ombra, la cima del Liskamm Orientale con i suoi 4527 metri attira ancor di più lo sguardo e invita ad avvicinarsi, per prati e boschi. Che poi, chiusure degli impianti o meno, camminare è un’attività che si può sempre fare, perdersi nella neve, contando sulle proprie tracce per trovare la strada, come se si fosse dei Pollicini in versione contemporanea.
Del resto quest’angolo della Valle d’Aosta che scivola verso la Val Sesia e la Svizzera ha molto da offrire anche quando le piste di fondo del comprensorio MonteRosaSky sono chiuse per causa di forza maggiore. Ci sono sempre le piste da fondo, per esempio. Il comune Bandiera Arancione del Touring Club Italiano di Gressoney-Saint-Jean è la sede della scuola di fondo della vallata, e sui suoi 25 chilometri di anelli di varia difficoltà sono da sempre palestra per campioni del mondo e nazionali italiani. I percorsi partono direttamente dal centro del paese, vicino al lago di Gover, da cui si sale nella grande piana di Dresal da cui si godono di viste immense Monte Rosa. Con lunghi saliscendi si torna in paese e si va verso Castel Savoia, con le sue cinque torre in stile neomedievale. Un castello a inizio Novecento fu la dimora preferita della regina Margherita, moglie di Umberto I e adesso è una tappa obbligata per chi viene a Gressoney-Saint-Jean. La pista da fondo che attraversa boschi di larici e abeti quasi gli gira intorno, prima di tornare verso il lago e il centro paese.
Se il fondo è troppo faticoso, e comunque richiede un minimo di destrezza e allenamento, gli stessi paesaggi si possono godere facendo un’escursione con le ciaspole. A Gressoney-Saint-Jean ci son due anelli tracciati e battuti che permettono di immergersi nella natura invernale. Il percorso Verde “Rong-Laubeno”, lungo 4,5 km. parte dal parcheggio di Dresal e arriva all’antico villaggio di Rong, da cui si gode di una duplice vista, sia sul Monte Rosa che sulla piana di Gressoney-Saint-Jean. Il percorso Rosso, “Castel Savoia”, è lungo 6,5 chilometri, parte dal lago Gover e sale al Castello Savoia, nel cui parco è stato realizzato anche un breve anello per ciaspolare.
Se poi tutte queste attività sono troppo “fisiche” per il vostro modo di intendere la montagna non rimangono che due scelte: fare uno spuntino o starsene in pantofole davanti al fuoco, o in albergo. Per entrambe le opzioni Gressoney-Saint-Jean offre ottime possibilità di fare godere di un’esperienza diversa, o meglio tipica. Nel senso di una esperienza che è legata all’antica cultura Walser, la gente di stirpe alemanna che abitate le vallate intorno al Monte Rosa e parla il Titsch (per approfondire la cultura Walser obbligatorio fare un salto al Centro culturale Walser).
Una cultura di montagna cui è legata per esempio la produzione del formaggio tradizionale della valle con cui iniziare lo spuntino: la toma di Gressoney, che si produce in estate, quando gli animali salgono negli alpeggi oltre i duemila metri e si consuma stagionata (l’ideale è dopo un anno), ammesso che ci si riesca a trattenere dal mangiarla prima (ampia scelta da Arthemisia, in via Obre Platz q, tel. 0125.355979). Formaggio cui vanno accoppiati i salumi tipici, come quelli che si possono trovare in paese per esempio alla salumeria macelleria Walser Schpisieo (via Monte Rosa Waeg 19, tel. 0125.355655), dove da anni il signor Franco e i figli producono tra le altre cose mocette (carne – bovina di solito, ma anche maiale, ovini o selvaggina – essiccata e insaporita con sale, alloro, aglio, salvia, rosmarino e altre profumate erbe di montagna) e il tetun, un salume realizzato con le mammelle di mucca che si assapora con le marmellate o con una salsa a base di prezzemolo, aglio e olio.
Una volta mangiato non rimane che riposare infilando le pantofole, che a Gressoney-Saint-Jean sono piccole pezzi d’artigianato che sfiora l’arte. In Titsch si chiamano D’Socka, anticamente erano prodotte praticamente da quasi tutte le madri di famiglia, poi la tradizione si è un po’ persa. Almeno fino a quando la signora Luciana Ferraris non ha ripreso l’antica lavorazione delle pantofole. «Quando mia moglie, che è originaria di un altro paese Walser, Alagna Valsesia (tra l'altro Bandiera Arancione del Touring Club Italiano anche lei), si è trasferita qui voleva darsi da fare ed essendo particolarmente abile con le mani ha deciso di provare a fare le nostre pantofole» racconta Roberto Barell. Che sembrerebbe facile, ma assolutamente non lo è. «Venivano realizzate con tessuti dismessi: cappotti, coperte, quel che c’era. La suola aveva 13 strati di tessuti, veniva trapuntata con la canapa e poi con punteruolo e ago si rafforzavano avendo cura di lasciare le cuciture all’interno. Anche la tomaia, cucita a mano, era fatta con coperte e pezzi di recupero. Ma così fatte erano resistentissime, anche dieci anni, anche se ai tempi si usavano in casa, ma anche fuori, visto che non c’era altro» racconta. Quella delle D’Socka non era una produzione per la vendita, ma era di uso famigliare, al massimo per uno scambio. Oggi invece grazie alla signora Ferraris si possono acquistare.
«I primi anni le pantofole andavano a venderle nelle fiere della zona, come la Fiera dell’Orso di Aosta, piano piano abbiamo visto che piacevano e nel 2000 abbiamo aperto la cooperativa, D’Socka, che è un nome difficile da pronunciare e ancor più da scrivere, ma è quello nostro, in dialetto, ed era giusto mantenerlo. Abbiamo iniziato con un laboratorio (via Linty 1, tel. 0125.35505; dsocka.com) in piazza vicino alle elementari, e ci siamo messi a produrre pantofole artigianali, tutte rigorosamente a mano, seguendo la tradizione» prosegue. L’arte è stata insegnata ad altre donne del paese, ed produzione di pantofole è diventato un mestiere. «Da cosa nasce cosa e abbiamo modernizzato le pantofole, anche perché quelle tradizionali erano rosse, perché si abbinavano al nostro vestito tipico, e invece abbiamo introdotto altri colori. E anche altri modelli, un po’ meno cari, perché per fare quelle tradizionale ci vuole un giorno e mezzo di lavoro per costruirle. E con i ritagli ci siamo messi a fare altro: parta monete, oggettistica e altre cose in lana cotta o feltro». Così oggi i negozi sono diventati due, uno in paese, l’altro ad Aosta, dove trovare pantofole, ma anche vestiti tradizionali ed oggettistica. Ma il merito è tutto di mia moglie, e delle sue mani – spiega Roberto –. Se lei le vedesse come le muove: riesce a trasformare tutto con quelle le mani». E a fare qualcosa di assai comodo per i piedi, ideale per gli inverni dove non si può uscire di casa.
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Testo: Tino Mantarro - Foto: Touring Club Italiano, Comune di Gressoney-Saint-Jean, pagina Facebook D'Socka