Articolo di Fabrizio Milanesi
A Maniago, tra la pedemontana e le Dolomiti Friulane, l’arte del ferro e dell’acciaio è parte della cultura di una comunità che in più di cinquecento anni non ha mai smesso di modellare coltelli e forbici di altissima qualità e venderli in tutto il mondo. Ma nel borgo Bandiera Arancione del Touring Club Italiano, in via dei Fabbri, c’è qualcuno che da mezzo secolo ha affinato l’arte dell’acciaio per riprodurre armi antiche, pezzi unici che brillano nei musei privati, nelle case dei collezionisti e che hanno imbracciato persino molti eroi del cinema, da Braveheart a Robin Hood. Si chiama Fulvio del Tin.
Fulvio Del Tin con una delle sue produzioni / foto Ruggero Lorenzi
Fulvio, potrebbe per favore realizzare una spada per sconfiggere il virus?
“Non so se sono in grado di arrivare a tanto! Penso invece che l’arma che dobbiamo usare tutti è la responsabilità. Sì, mi sembra che sia la parola giusta per descrivere come dobbiamo relazionarci con noi e con gli altri e riprenderci il nostro presente. Lasciamo le colpe dove sono e pensiamo il futuro insieme”.
Ora prendiamoci il tempo per raccontare il passato. Quando nasce la tradizione artigianale di Maniago legata all’acciaio?
"La produzione nei coltelli e forbici risale a secoli addietro. Già nel 1500 sorsero dei battiferri lungo il corso del torrente Colvera. Verso la fine del ‘400 si creò un canale per deviarne il flusso e facilitare l’alimentazione dei magli. Esiste anche un atto notarile che testimonia che a Maniago furono prodotti anche delle armi per la repubblica Serenissima di Venezia, l’unico dato ufficiale che testimonia una produzione seriale di armi. Ancora oggi a Maniago è molto frequente che i fabbri e i coltellinai abbiano l’officina proprio a fianco della loro casa."
Poi, nel ‘900 arriva la tua famiglia. Come si è inserita in questa storia artigianale?
"Mio papà nel 1960 costruì una officina nella casa di famiglia, dove oggi vivono una delle mie figlie con i miei nipotini. Si facevano coltelli e poco più. Con lui lavorava mio fratello maggiore Flavio, il primogenito di tre maschi. Nel ‘63 dopo una visita all’armeria di Palazzo Ducale di Venezia mio padre iniziò per passione a riprodurre spade, pugnali, alabarde, imitandone le forme antiche.
Fu solo per un caso che nel 1965 abbandonarono la creazione di comuni oggetti da taglio per dedicarsi alla riproduzione di armi antiche. L’intuizione a mio padre venne dopo che alcune sue creazioni andarono a una mostra dell’artigianato di Firenze. Di fronte alle prime richieste, decise di convertire la produzione e da allora sono state solo armi antiche. Solo armi bianche.
Io ho iniziato a affiancare mio padre nel 1970. Prima di allora entravo in officina e mi mettevo a costruire oggetti per gioco. I primi due pugnali? A 13 anni. Uno lo conservo ancora qui in studio. Ho costruito anche un piccolo cannoncino che sparava chicchi di riso. Andare a bottega aiuta.
Nel ‘75 mio padre è mancato e ci siamo trasferiti nel ’77 nella nuova zona artigianale in via dei Fabbri, sempre a Maniago. Abbiamo lavorato in tre fino agli inizi degli anni '90 e da allora sono rimasto solo in via dei Fabbri a coltivare la passione di una vita."
La spada di Ettore Fieramosca / foto Fulvio Del Tin
A quali epoche guardi per le riproduzioni?
"Spazio dall’età del bronzo fino al XVII e XVIII secolo. Sono armi bianche della tradizione occidentale. Mi ispiro con immagini di libri antichi, cataloghi di mostre, pezzi esposti nei musei e suggestioni di clienti. Studio e ricerca sono attività costanti. Oggi ho in esposizione quasi 500 pezzi."
Quanto ti occorre per riprodurre una spada e che materiali utilizzi?
"Dipende. Posso fare un pezzo in poche ore oppure in giorni. L’acciaio non è però friulano, lo cerco dove capita, perché è difficile da reperire nel tipo e nelle misure che mi servono. Si tratta di un acciaio al Cromo Vanadio 50CrV4 (6150)."
Da chi è composta la tua clientela?
"Ricevo ordinazioni da tutto il mondo: Europa, America, Oceania e ultimamente anche dall’estremo Oriente. Ho due ordini per Taiwan ancora inevasi, una spada pronta per un cliente tedesco e una per un finlandese. I clienti scelgono i pezzi sul mio sito, chiedono spesso varianti che cerco di esaudire."
Qualcuno erediterà la tua professione?
"Ho due figlie, spero nei nipoti, uno ha già manifestato il desiderio di far spade da grande, ma vedremo. Per ora mi sento un po’ un eremita."
Armature presso il laboratorio di Fulvio Del Tin / foto F. Del Tin
Un eremita conosciuto in mezzo mondo però! Ma chi viene a visitare Maniago, può vedere i tuoi lavori?
"In laboratorio a Maniago ho esposto circa 500 pezzi. In Italia una delle mie partecipazioni più importanti è stata forse la mostra “I Longobardi” nel 1990 che si svolse a Villa Manin e a Cividale, vista da mezzo milione di persone e immortalata su molti cataloghi. Nella Regione mi hanno conosciuto di più negli ultimi anni. Amo molto il mio lavoro quanto la discrezione. Sono stato contento di esporre in numerose mostre qui e in tutta Italia, talvolta anche all’estero. Con il Comune, l'Ascom e la ProManiago stavamo valutando a una esposizione più importante nel prossimo futuro, ma gli eventi sono stati più veloci di noi."
È proprio vero che la tua spada era in mano a Braveheart?
"Spesso ci sono fornitori per il cinema e attrezzisti che si occupano di farmi arrivare le richieste dalle produzioni che vogliono pezzi visti su cataloghi o in mostre.
A volte mi capita di vedere per caso dei film e riconoscere una mia spada, o un mio scudo. Nessuno mi avvisa prima, perché le produzioni chiedono i pezzi a qualcuno che ne era già in possesso, soprattutto alcuni miei rivenditori americani. Così è successo anche in Robin Hood. Nel film le spade le fanno nella foresta di Robin e invece… le avevo fatte io e me ne sono accorto davanti a uno schermo!
Ci sono casi invece per cui ho lavorato su ordinazione diretta. È il caso proprio di Braveheart, nel 1995, per cui ho realizzato una sessantina di pezzi. Sono andato in Inghilterra e abbiamo deciso le armi. A me onestamente non pareva gran cosa, io sapevo solo il titolo e un po’ della storia che avrebbero raccontato. Quando poi sono arrivati gli Oscar e si è saputo del mio lavoro, un giornale in Sardegna ha persino scritto che avevo vinto un Oscar… Sarebbe stato bello, invece no."
Come vedi la tua attività dopo la crisi che stiamo vivendo?
"Durante la chiusura forzata ero in laboratorio a presidiarlo e mettere un po’ in ordine. Dal 4 maggio ho ripreso a lavorare. Spero siano tutti pazienti e che riprendano gli eventi. Perché la clientela negli anni è cambiata. Prima erano solo amatori e collezionisti a contattarmi, ora ci sono molti organizzatori di rievocazioni storiche e di incontri di scherma antica. In questo periodo di chiusura forzata ovviamente mi è mancato molto. Mi è mancata anche la possibilità di usare la bicicletta. Ho fatto qualche allenamento su e giù per il giardino di casa. Speriamo di tornare tutti a pedalare, in tutti i sensi."
Fulvio e l'altra sua grande passione, la bici / foto Fulvio Del Tin
In Gallery le armi di Del Tin nei film Caravaggio, e Romeo e Giulietta
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