Questo articolo è tratto dal numero di aprile 2024 di Touring, il mensile riservato agli iscritti al Touring Club Italiano. Per saperne di più e consultare un'anteprima, questa è la pagina dedicata.
Usseglio è uno di quei posti di montagna dove per arrivare bisogna volerci andare. Gli abitanti iscritti all’anagrafe sono 209, un centinaio quelli che ci si svegliano ogni mattina. Dal 2019 Bandiera Arancione TCI, Usseglio sta in fondo alla valle di Viù, la più meridionale delle tre valli di Lanzo, 60 chilometri da Torino. Dove “in fondo” non è un modo di dire, di quelle risposte generiche che danno i locali – «su di lì, vai di là» –, in fondo è da intendersi in modo letterale: al fondo di una valle chiusa, a 31 chilometri dalla bassa valle di Lanzo Torinese. Una trentina di chilometri di una strada – la provinciale 32 – non tremenda, ma neanche larga, che sale costante fino ai 1200 metri del pianoro dove si raggiunge l’abitato di Usseglio e la sua dozzina di frazioncine.
UNA COMUNITÀ RESISTENTE
Mentre si prende quota guidando con relativa prudenza ci si guarda in giro per provare a interpretare questo paesaggio alpino: una vallata stretta, solcata da un torrente, fitta di boschi, abitati di case grigie, in pietra, montagne aguzze. Poi si scollina sul pianoro e viene spontanea una di quelle espressioni di inaspettata sorpresa: «Ah, però». Il fatto è che la valle si allarga, spiana e se una notte d’inverno un viaggiatore ci arriva con la luna piena e intorno ha nevicato di fresco, il paesaggio quasi s’illumina: aspre e rocciose, le montagne tutto intorno riflettono così tanto la luce che paiono uscite da un quadro romantico e ancor più in alto un soffitto di stelle come quello di certe chiese medievali dà il benvenuto.
Benvenuti in una piccola comunità di montagna cui si addice una parola di moda quando si parla di paesi: resiliente. Anche se a Usseglio si attaglia di più resistente. Perché con chiunque parli hai l’impressione che vivere e fare impresa qui sia un atto di resistenza e d’amore. E spesso, coincidono.
Ce ne si accorge parlando con Maria Beria d’Argentina, presidente dell’Associazione fondiaria La Chiara di Usseglio. «Siamo nati alla fine del 2016 per raggruppare i proprietari di terreni della zona, spesso con un fazzoletto di terra minimo». E basta guardare la mappa catastale del territorio che porta con sé per capire quanto piccoli siano quei fazzoletti.
«Lo scopo dell’Associazione è semplice e chiaro: sostituire a una gestione individuale dei terreni, ovvero al loro abbandono sotto il profilo agrosilvopastorale, una gestione di tipo collettivo», racconta. «Certo collettivo è una parola che per molti suona piuttosto male – sorride Beria d’Argentina –, ma significa occuparsi dei terreni come se fossero uno solo, al fine di ottimizzare il rendimento gestendoli nel miglior modo o affittandoli a terzi». Lei non è di Usseglio, neanche originaria, ma ha deciso di trasferirsi qui nel 2016 e per qualche anno ha gestito anche un bar nella prima delle frazioni che si incontra salendo. «L’ho fatto perché per portare la vita in montagna serve la vita, e il bar era un posto di incontro». Convinta che dai posti piccoli e dalle azioni concrete possa partire il cambiamento della percezione, ma anche della vita quotidiana, crede che «si debba trovare il punto di equilibrio tra montagne e persone. La montagna è viva, ma è necessario un orizzonte di gestione umana se ci si vuole abitare, non serve pensare alla montagna selvaggia, a queste quote non esiste».
Queste quote sono chilometri di rocce e un bosco sempre più denso di aceri, frassini e ontani. «Ma sta prendendo piede il faggio» specifica Beria d’Argentina, laureata in agraria e per una vita tecnico forestale. L’Associazione fondiaria altro non è che una formula nuova per una cosa antica, diffusa in tutto l’arco alpino: gli usi civici, la gestione comunitaria di boschi e pascoli. «Il nostro scopo è tecnico: facciamo da nave scuola per governare in modo sostenibile quel che è abbandonato, perché la piccola proprietà boschiva non genera alcun reddito. Ma venendo abbandonata genera una crescita indiscriminata del bosco, e non è un bene per il territorio perché aumenta il rischio idrogeologico e di incendi. Un problema perché siamo in un territorio antropizzato, e se non gestiamo, la natura fa il suo corso, torna tutto selvatico e questo mal si concilia con la vita delle persone». Nata con 26 soci, oggi l’Associazione ne ha 50, con 136 ettari di terreni, la maggior parte boschi, ma anche pascoli e qualche area agricola. E mentre racconta mostra una foto del 1926 dove si vede il territorio della piana di Usseglio tutto coltivato. «Questo sarebbe l’obiettivo, ma ormai è un sogno», spiega.
DUE ETTARI A RABARBARO
Sogno o meno, qualcosina si muove. Alcuni terreni lungo il sentiero degli apicultori sono stati assegnati a un’azienda agricola che produce miele. Un altro è stato dato in concessione a Giorgina Somale, e alla sua Melvi, un’azienda che produce rabarbaro e prodotti derivati. «Hai in mente le caramelle zuccherate, quelle che ti davano le vecchie zie? Prima il rabarbaro in Italia era usato solo per quelle e per l’Amaro Zucca. Noi abbiamo iniziato a piantarlo e trasformarlo: marmellate, liquori con le radici e ora anche gin» racconta Giorgina, orgogliosa del suo piccolo laboratorio. Con il marito hanno piantato due ettari a rabarbaro, tutti nel territorio di Usseglio. «Erano terreni dei miei nonni, incolti da oltre 50 anni, abbiamo deciso di piantare nuovamente le radici qui, in tutti i sensi», spiega. L’agricoltura non era il suo mestiere, «ma mi sono messa a studiare, anche perché non volevo limitarmi a piantare: mi ha sempre interessato la trasformazione delle erbe e ho pensato di innovare».
Giorgina e la sua famiglia non risiedono a Usseglio, ma l’azienda hanno deciso di impiantarla qui. «Potevo farlo altrove, ma ci tenevo che fosse fatto qui. Mi piace portare il nome di Usseglio fuori dalla valle, farlo conoscere», prosegue. E infatti sull’etichetta ha scritto grande Liquore al rabarbaro di Usseglio, prodotto artigianale delle valli di Lanzo. «E poi in questi anni qualcosa è cambiato. La montagna era marginale e lo è ancora, ma ci sono sempre più persone che vogliono restare, provare a far qualcosa, anche se non è semplice. Però stiamo cercando di far rete, di costruire un’economia che porti avanti i valori di montagna».
INVENTARSI IL LAVORO
Come lei sono diversi, in settori differenti, ad aver scelto di restare e provarci, oppure di trasferirsi a vivere qui. Tra loro Alberto Varalli, vicesindaco e geometra, che a Usseglio veniva in vacanza da ragazzino e poi sei anni fa ha deciso di fermarsi «perché ero stufo di lavorare giù, qui c’è un altro ritmo e soprattutto un altro senso di comunità». Comunità che è necessaria quando vivi in realtà da una manciata di abitanti. «Le frazioni più grandi sono Piazzette e Cortevizzo», e mentre lo dice conta gli abitanti con le dita. «La più popolosa avrà una dozzina di abitanti, le altre cinque, sei.
Però in estate Usseglio si popola, «si arriva a 2mila persone». In quei mesi è un’altra storia: «Da sempre questa è stata una valle di colonie estive, di villeggiatura salutare e tranquilla, con eventi legati al territorio, come la festa nazionale della toma di montagna in luglio, e quella della transumanza in ottobre». Il paese si riempie, e quando giri per le frazioni non vedi brutture come in altre vallate. «Vero. Il nostro è sempre stato un paese di villeggiatura semplice, legata alle passeggiate estive. Lo sci è arrivato solo negli anni Settanta» racconta Luigina Longhi, vicentina di origine, da una vita a Usseglio e membro della società storica locale.
Lo sci alpino si pratica a Pian Benot, quattro impianti e cinque chilometri di piste. Mentre il fondo in paese, con una pista di 11 chilometri che parte accanto allo stadio del ghiaccio, tra i pochi in Italia con ghiaccio naturale. «Dunque ecologico, perché per crearlo e mantenerlo si sfrutta solo il freddo, quando c’è», scherza Fulvio Reteuna mentre, grazie ai -4°C di questa serata, innaffia per rimpolpare lo strato ghiacciato. Neanche trent’anni, con il gemello Flavio ha deciso di prendere in gestione impianto e pista da fondo. «È un po’ una pazzia, perché siamo a 1200 metri e il cambiamento climatico si sente: meno neve, meno freddo e per noi vuol dire non lavorare. E infatti non lo facciamo per i soldi, per arricchirci. Lo facciamo per questo posto, perché se non ci si prova, piano piano chiude tutto, mancano servizi e anche la gente. Però io davvero non vorrei andar via da qui, altrove non vivrei bene. Dunque ci inventiamo il lavoro: un po’ questo, un po’ muratori e taglialegna. Ci si arrangia», raccontano i fratelli, uno dei quali vive nella cintura di Torino, «ma faccio il pendolare al contrario». Anche Nadia Cibrario, 26 anni, ha scelto di rimanere qui, subentrando al Grande Albergo Rocciamelone, un’affascinante struttura degli anni Venti che è rimasta volutamente com’era: un trionfo di legno, specchi, parquet. «Ora tocca a loro, è giusto che ci provino, se non lo fanno loro chi lo fa? Noi il nostro contributo a questo paese lo abbiamo dato», racconta la madre.
UN MODERNO NIDO D'AQUILA
Quattro alberghi, diversi bar, un paio di ristoranti-pizzerie, due rifugi, degli agriturismi. Usseglio punta sul turismo, consapevole che da solo non basta. Ma forse è l’unico traino reale per invertire il trend di spopolamento che l’ha portata dai 1.500 abitanti di un secolo fa al centinaio attuale. «Fino agli anni Sessanta si è resistito, grazie alle tre dighe e ai quattro impianti idroelettrici costruiti a inizio Novecento. Tutti volevano lavorare all’Enel, e portare avanti la campagna. Poi si è iniziato a emigrare verso Torino, con il miraggio del posto in fabbrica e allora addio» spiega Longhi.
Le dighe ci sono ancora, segnano il paesaggio con discrezione ma danno lavoro a una manciata di persone. Oltre al lavoro da inventare la mancanza di servizi non aiuta: «La farmacia è a Viù, a mezz’ora come la guardia medica, le scuole e il supermercato. Qui abbiamo due negozi con le cose essenziali» spiega Longhi. Chi resiste è Guglielmo, il fornaio. «Sono rimasto l’unico da qui a Lanzo, per cui grazie alle consegne si riesce a restare in piedi. Ma a breve andrò in pensione, vediamo se arriva qualcuno al mio posto, sarei felice di insegnargli il mestiere». O Silvio Ferro, il cui albergo ristorante La Furnasa è aperto tutto l’anno e se glielo chiedi ti porta a visitare il piccolo ma ben organizzato museo civico Tazzetti, realizzato negli spazi adiacenti la chiesa parrocchiale dell’Assunta. Resiste e rilancia Barbara Cribario. Con il marito ha aperto SkyLodge, albergo di un’unica stanza ancorata su uno sperone di roccia, come fosse il nido di un’aquila a sbalzo sulla vallata. «Ci si arriva solo a piedi, 300 metri di dislivello, e so- pra non c’è nulla: solo silenzio, natura e la vista. Cena e colazione la portiamo su noi, a spalle», racconta.
Autonomo grazie ai pannelli solari, in legno e smontabile, lo SkyLodge è il contributo di Cribario alla sua valle. «Sono la quarta generazione di muratori, qui a Usseglio. Ho pensato: devo fare qualcosa per il paese, qualcosa che non c’è altrove, così la gente ne parla, che qua altrimenti non ci conosce più nessuno» spiega con sincero trasporto. «Per ora vengono persone che non sarebbero mai arrivate a Usseglio, fanno l’esperienza particolare nella camera, ma poi si fermano ed esplorano la valle». Perché è vero: a Usseglio devi volerci andare. Ma una volta che vieni, torni.
INFORMAZIONI
- Usseglio dista una sessantina di chilometri da Torino, l’uscita migliore della tangenziale è Venaria Reale, poi si segue verso Lanzo e si risale la valle con la provinciale 32.
- Fascinosa atmosfera anni Venti con buona cucina piemontese al Grande Albergo Rocciamelone (via Roma 37; albergorocciamelone.com). La Fornasa è un hotel a conduzione famigliare, semplice ed accogliente, ottima la cucina (via XXIV Maggio 16; ristorantehotelfurnasa.com). Il Grand’Usseglio è un altro albergo primo Novecento, rimodernato all’interno (via Roma 21; hotelgrandusseglio.com). Per prenotare lo SkyLodge: uskylodge.it. Sulle piste con bar e ristorante il Pian Benot Nei e Soleis (pianbenot.it).
- La centrale idroelettrica Enel Green Power di Crot è visitabile grazie a Vertical Experiences, che organizza anche escursioni sul territorio (Chiara Berretta, tel. 338.9726184). Interessante la visita al museo Tazzetti (museotazzetti.it). Per acquistare i prodotti al rabarbaro, Melvi (melvi.it).