A Frosolone, Bandiera Arancione del Touring Club Italiano, un nuovo museo della memoria nasce come storia di resilienza e sostenibilità.
Una dimora del centro storico diventa, così, un contenitore di stimoli per ricordare, uno scrigno che racconta attraverso oggetti, foto, documenti, uno spaccato della società tra Ottocento e Novecento.
Si chiama “Piccolo museo Occhi a candela e Antica biblioteca scolastica” e si trova in corso Garibaldi a Frosolone, nel pieno centro di uno dei “borghi accoglienti” certificati dal Touring Club Italiano.
È stato fondato appena le restrizioni dovute alla pandemia lo hanno permesso da due sorelle, Antonella e Roberta Muzio, e dalla loro mamma Clara, che ha trasmesso loro il nome di famiglia “Pental”. E sì perché da queste parti il soprannome, come spesso accade nei piccoli borghi dell’Italia centrale, viene tramandato da generazione in generazione per identificare un intero gruppo familiare. Pental racconta una storia antica fatta di lavoro, artigianato, emigrazione, passioni che diventano volano di sviluppo per il commercio grazie alla rinascita economica del Secondo Dopoguerra.
Così da un bisnonno calzolaio, dai nonni commercianti di calzature, la storia di famiglia si espande in altri luoghi d’Italia e del mondo fino in Canada. E sono i mezzi di trasporto, prima il calesse conservato ancora nel museo, poi un raro furgone Fiat per il trasporto merci, la chiave di volta per la rinascita e per una passione per i motori che diventerà collezione d’auto d’epoca.
Il Piccolo museo, però, è soprattutto una storia corale di donne forti, tenaci, come lo sono tutte le donne che, tra Ottocento e Novecento, vengono lasciate sole nei paesi a causa della guerra o della partenza degli uomini per l’America e che non si piegano, non si rassegnano. Una storia di resilienza del passato che dà vita a una storia di resilienza contemporanea. Lo racconta una delle fondatrici, Roberta Muzio, che ne ha fatto una storia pubblicata in due volumi: “Occhia a candela” e “Il suono del ferro” e che costituiscono, appunto, la Saga dei Pental.
Si respira in questo museo, che non è solo etnografico ma un luogo della memoria collettiva e del patrimonio immateriale di una comunità, l’orgoglio delle donne che ce l’hanno fatta e il rifiuto di convenzioni che porterà a contraddistinguere una famiglia attraverso un nome trasmissibile solo da donne come fosse un testamento di valori che conduce ad una emancipazione femminile quando ancora il costume dell’epoca le voleva sottomesse e dipendenti economicamente dagli uomini. “La pandemia ci ha insegnato che dobbiamo recuperare il passato, la microstoria, i ricordi, la memoria orale di cui i nostri anziani sono custodi - spiega Roberta Muzio, giornalista e autrice con la passione per la ricerca storica. – Così, dopo due anni trascorsi a leggere le vecchie carte dell’archivio di famiglia e a frugare in soffitta tra gli oggetti dei nostri avi, abbiamo pensato di realizzare un museo che, attraverso una storia di famiglia, racconta uno spaccato dell’Italia”.
Le visite narrate, infatti, sono ricche di aneddoti che aiutano a comprendere come si svolgeva la vita un tempo: le abitudini domestiche, le ricette, la preparazione di eventi importanti come i matrimoni, i rapporti epistolari con i parenti emigrati, gli studi e l’educazione. Sì, perché il Piccolo museo, che si sviluppa al piano terra di un palazzotto chiamato “La dimora dell’Incoronata” adibito ai piani superiori come casa vacanze ospita anche un’Antica biblioteca scolastica. “Avevamo questo fondo scolastico – racconta ancora una delle fondatrici - che, durante i mesi di chiusura dovuti al Covid, abbiamo riordinato e catalogato. Sono libri che venivano adottati nell’Ottocento e fino agli anni Cinquanta del Novecento nelle scuole: fanno capire come sia cambiata l’istruzione. In questo modo li abbiamo salvati dalla distruzione perché fanno parte comunque della nostra storia”.
Il calesse dell’Ottocento condotto da nonna Incoronata è stato riportato in quella che era la sua vecchia collocazione e dove trovava riparo il cavallo Morello: “Certo, mia nonna – spiega la nipote – lo usava per vendere la frutta nei dintorni. Per noi è un simbolo, quello del riscatto, dell’orgoglio, della sinergia con gli animali e del profondo rispetto che abbiamo per essi: questo calesse racconta della volontà ferrea di farcela e di non piegarsi a una convenzione secondo la quale le donne dovevano essere massaie e rassegnarsi a una vita di stenti se lasciate sole nei paesi a badare alla prole mentre i mariti erano emigrati. Senza il calesse e Morello tutto sarebbe andato diversamente”. Ci sono gli oggetti di rame che servivano nella quotidianità, i ricordi della guerra, la foto di un giovane soldato, il prozio Nicola Muzio, mai più tornato dal fronte del Primo conflitto mondiale perché caduto a Podgora, gli arnesi dell’arrotino del bisnonno Felice D’Orazio emigrato negli States. Perché qui siamo nel paese delle lame, forbici e coltelli dove da secoli si forgiano ma dovevano esserci anche gli arrotini che vendevano in giro questi arnesi.
“La scommessa – dice mamma Clara - era di far rivivere questa casa dove ho trascorso i primi anni di vita insieme ai miei genitori e ai miei numerosi fratelli e sorelle. Così erano le famiglie di un tempo. Chiunque varca la soglia della nostra Dimora dell’Incoronata, che era il nome di mia madre, compie un tuffo nel passato, si viene proiettati all’indietro e si riscoprono le memorie dimenticate”. Accade agli ospiti della casa, ai visitatori del museo e ai giovani che ricordano le storie narrate dai nonni; mentre i bambini e i tanti scolari in visita scoprono novità, ad iniziare dal nome. “Occhi a candela era una espressione usata da mia nonna Incoronata che vuol dire occhi aperti, state attenti ma, col tempo, abbiamo capito – spiegano le proprietarie – che voleva intendere anche usate l’intuito per andare oltre ciò che è visibile. Seguendo questo intuito abbiamo capito che la pandemia doveva insegnarci qualcosa oltre alle cronache dolorose di morti e sofferenze, dovevamo recuperare per conservare. Non solo per noi, per la nostra comunità, per la nostra terra ma per coloro che verranno dopo. Dovevamo riportare alla luce ricordi, carte e oggetti che rischiavano di essere spazzati via dalla modernità e da eventi improvvisi come può essere un virus. La pandemia ha cancellato intere generazioni, con i nostri anziani è andato via un patrimonio culturale immateriale, la memoria appunto, di cui non si potrà più fruire: con il nostro Piccolo museo ne abbiamo strappato un pezzo per riportarlo in vita”.
Il Piccolo museo Occhi a candela e Antica biblioteca scolastica è visitabile su prenotazione. Per info: 3389148384 (WhatsApp), oppure su Facebook
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Testo e foto: Roberta Muzio