Difficile, per chi oggi vi sale dalla valle dell'Isclero, sottrarsi alla magia di Sant'Agata de' Goti, città-presepe i cui campanili e le cui cupole maiolicate dominano la bastionata di case e palazzi allineati su un ripiano strapiombante una cinquantina di metri, alla sinistra del fiume. Una fisionomia assunta nel medioevo, da una città che, per quanto erede della sannita Saticula e poi di un castrum romano, assunse la fisionomia attuale solo con i longobardi. Era infatti importante già nel 970, anno in cui fu fondato il Duomo e divenne sede vescovile. Poi con l'arrivo dei normanni nel 1066 sorsero gli edifici più rappresentativi, e furono poste le basi architettoniche all'impianto urbanistico medievale che connota l'affascinante fisionomia attuale del borgo. Che non ha più perso, dall'età angioina in poi, quando passò via via nelle mani di vari feudatari: gli Origlia, i Della Ratta, gli Acquaviva, i Rams, i Cosso e i Carafa, fino al 1806 (periodo questo in cui, fra il 1762 e il 1775, la città vide la presenza come vescovo di un grande e popolarissimo santo, Alfonso Maria de' Liguori).
Splendida da ogni lato, Sant'Agata de' Goti offre però la vista più suggestiva dall'altissimo ponte Vittorio Emanuele che valica da ovest il vallone Martorano, e da cui si può ammirare il sistema di archi di costruzione che regge il borgo abbarbicato sul ciglio della rupe di tufo. Varcato il ponte, subito ci si trova di fronte agli imponenti resti del Castello, fondato dai longobardi e via via ristrutturato più volte fra l'epoca normanna e il Settecento: da segnalare le arcate ogivali nel cortile, scene mitologiche secentesche nella loggia al primo piano e un affresco di Tommaso Giaquinto (“Diana e Atteone”, 1710).
Di fronte al castello, dalla parte del ponte, c'è invece la chiesa di San Menna, costruita a ridosso della cinta muraria e consacrata nel 1110 da papa Pasquale II: dedicata a un eremita che nel VI secolo viveva in una grotta sul monte Taburno, conserva il portale originario romanico, decorato con foglie e due teste di leone, dove una scritta latina invita a pentirsi dei peccati. L'interno, a tre navate, con colonne e con capitelli romanici e tetto a capriate, ha nel pavimento dell'abside gli eccezionali resti notevoli di un mosaico a figure geometriche di inizio sec. XII, uno dei più antichi databili con certezza dell'Italia meridionale. Da notare anche alle pareti i resti di affreschi dei secc. XIV-XV e, nell'altare, una lastra di sarcofago del sec. VII.
Poco lontano, dirigendosi verso l'estremità meridionale del paese, si trova invece la più importante chiesa di Sant'Agata: quella dell'Annunziata. Fondata nel 1237, ricostruita dopo il terremoto del 1349, ha un portale e un campanile cinquecenteschi, mentre l'interno è gotico e custodisce eccezionali cicli di affreschi scoperti solo qualche decennio fa, nascosti dietro una mano di intonaco: databili tra la fine del Trecento e i primi del Quattrocento, sono fra i più importanti risultati della pittura tardo-gotica in Campania.
Straordinario, per esempio, voltandosi all'indietro appena entrati in chiesa, è il Giudizio finale affrescato sulla controfacciata, con Cristo giudice, la risurrezione dei morti che escono dalle tombe, gli angeli che suonano le loro trombe, le rappresentazioni dell'inferno e del paradiso.
Rivolgendo lo sguardo verso il fondo della chiesa, invece, si noterà come l'abside sia asimmetrico rispetto alla navata. È stato ipotizzato che si tratti di una deliberata scelta teologica: essendo le piante delle antiche chiese raffigurazione della croce, l'abside rimanderebbe al capo reclinato di Cristo nel momento della morte. In ogni caso, a colpire nell'abside sono soprattutto gli affreschi con una Crocifissione, una delicatissima Annunciata e con le Storie di san Leonardo. Di pregevole fattura sono anche quelli con le Storie di santi, fra cui un posto di rilievo hanno quelle di sant'Orsola e quelle del veneratissimo san Nicola di Bari, che in un affresco è raffigurato con grande ironia mentre regala la dote alle tre figlie di un padre privo di mezzi economici: il santo, alle spalle del padre addormentato, quasi furtivamente allunga allunga una bisaccia con le monete alle tre ragazze stese fianco a fianco in un unico letto. E altri affreschi (Presentazione al tempio, Fuga in Egitto) si trovano negli archi ciechi della parete sinistra.
Ma la chiesa dell'Annunziata non custodisce solo affreschi. Nella prima cappella a sinistra, un grande e dorato polittico dell'Annunciazione (1483 ca.), di chiara ispirazione fiamminga, dipinto forse da Angiolillo Arcuccio che ha raffigurata icasticamente la concezione trinitaria, con il Padre che invia lo Spirito Santo perché il Figlio prenda carne nel grembo di Maria. Nella seconda cappella a destra, notevole l'altare marmoreo con statua di san Giacomo. E poi, a bene integrarsi con l'atmosfera mistica della chiesa, ci sono le 16 moderne, verticali, coloratissime vetrate realizzate nel 1976 su disegni di un grande artista contemporaneo, Bruno Cassinari.
A questo punto conviene ritornare sui propri passi dirigendosi verso nord per esplorare il centro storico, che fu duramente colpito dal sisma del 1980 ed è attraversato da una via principale, ai cui lati si dipartono viuzze che spesso si allargano in una piccola piazza con una chiesa. Seguendo via Roma, si trova sulla sinistra la piazza Ludovico Viscardi con la chiesetta di Sant'Angelo de Munculanis, di origini longobarde, con un campaniletto aperto da due bifore romaniche: recenti lavori di restauro hanno portato alla luce la struttura medievale e una cripta.
Un'altra chiesa da non perdere è quella di San Francesco, del 1267 ma barocchizzata nel Settecento: notevole soprattutto alla parete d'ingresso il monumento funebre di Ludovico d’Artus, conte di Sant’Agata, morto nel 1370: opera di uno scultore napoletano, consta di un sarcofago su otto colonnine tortili binate, con un un baldacchino goticizzante retto a sua volta da due colonne tortili. Da vedere poi il pavimento in maiolica dei fratelli Massa, il soffitto a cassettoni dorati con un ciclo di affreschi di Tommaso Giaquinto con scene dell’Antico Testamento, un'Annunciazione del 1702 sempre di Giaquinto, un affresco quattrocentesco della Madonna del latte, l’organo a canne.
Proseguendo, si incontra poi la settecentesca chiesa barocchizzata di S. Maria di Costantinopoli, di origini cinquecentesche, ma la cui storia è strettamente legata all'adiacente monastero delle suore Redentoriste, che furono fatte arrivare in paese da sant'Alfonso Maria de' Liguori nel 1766 (è tuttora abitato da suore di clausura). Proprio di fronte, sull'altro lato della strada, c'è la chiesa di Santa Maria del Carmine, che ospita una delle due sezioni del Museo diocesano.
Superato il Municipio, parte integrante di un antico complesso conventuale francescano, con un portale del Settecento e un’epigrafe romana sull'angolo, si apre sulla destra piazza Umberto I, con il Palazzo Vescovile, dove tutto parla di sant’Alfonso Maria de’ Liguori.
Più oltre invece si erge il Duomo, dedicato all’Assunta, con porticato sorretto da dodici colonne con capitelli corinzi. Fondato nel 970 su un tempio pagano, ha subito numerosi rifacimenti, i più importanti dei quali nella prima metà del Settecento quando numerosi artisti e artigiani giunti da Napoli gli diedero l'aspetto attuale (solo il soffitto è del 1878). L’interno, a croce latina e con tre navate, conserva numerose opere d'arte sei e settecentesche, oltre che resti di un pavimento musivo simile a quelli di San Menna. Di notevole importanza è la cripta con volte a crociera, testimonianza della chiesa romanica del XII secolo, che ha alle pareti affreschi trecenteschi ed è sostenuta da 12 colonne di cui sei con capitelli tardo antichi, tre medievali e tre romanici, sui quali si intravvedono bassorilievi raffiguranti angeli e animali mostruosi.
Il percorso si conclude all'estremità del borgo alla Villa Torricella, giardino pubblico che si affaccia sull'incrocio delle due profonde forre che delimitano il lato settentrionale della città, sul ciglio del vallone inciso dal torrente Riello. Proprio via Riello conduce, sul lato est del borgo, all'unica porta della cinta urbana, con belle viste sulle montagne circostanti e resti dell torri murarie.
Da segnalare ancora, tre chilometri a ovest del borgo, il semplice santuario di Santa Maria in Palmentata, eretto dove la Madonna sarebbe apparsa a un pastore nella domenica delle Palme, chiedendogli che fosse costruita una cappella in suo onore. Oggetto del culto è una statua quattrocentesca della Madonna in trono con il Bambino.
E i musei? Notevolissimo è il Museo diocesano, inaugurato nel 1996 dall'allora cardinale Joseph Ratzinger e che raccoglie molte opere d'arte provenienti dalle chiese della zona rimaste danneggiate dal terremoto del 1980. E' diviso in due distinte sezioni. Quella museale vera e propria è sita nella piazzetta della Madonna del Carmine: vi sono conservate opere d'arte sacra, paramenti, reliquiari, argenti, manoscritti e testi liturgici, oltre ad antiche lastre tombali (una paleocristiana del V secolo e una dell'abate Antonio di Tramonto del 1361), a una “Pietà” tardogotica attribuita a Silvestro Buono, affreschi secenteschi staccati dai muri del seminario, una “Cacciata di Agar e Ismaele” (1680) e una “Annunciazione” (1702) del Giaquinto. La sezione del Museo ospitata nel Palazzo vescovile è invece dedicata soprattutto a sant'Alfonso Maria de' Liguori (vedi approfondimento), ma conserva anche gli stemmi dei 68 vescovi santagatesi, il reliquiario di Sant'Onofrio (1585), oggetti liturgici del Sette e Ottocento, e un recente presepe napoletano di Giuseppe e Marco Ferrigno (1997).
Testo di Roberto Copello; per le foto, si ringraziano Enrico Raimondo, Vittorio Maria Guida e Marco Rastelli, partecipanti al concorso fotografico Tci Borghi d'Italia (rispettivamente: foto in alto, foto al tramonto e foto della balconata); Wikipedia e Comune per le altre foto.
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