“Levossi di repente un vento fresco, ed impetuoso, che rendendosi a celeri gradi più violento e gagliardo fino a divenir turbinoso, e furente, fu accompagnato da uno spaventevole rombo, il quale al fremito di un turbine univa un orrendo fragore simigliante allo scoppio di una batteria, di modo che io credei in quell'istante, che in vicinanza della mia casa, per la ricorrenza della festa di S. Anna, si sparasse un gran fuoco d'artifizio”.

Era il 26 luglio, festa di sant'Anna, patrona di diversi paesi di Abruzzo, Molise, Campania e Puglia, nei quali veniva celebrata con sagre popolari e spettacoli pirotecnici. Per questo quando un rombo poderoso attraversò l'aria molti, fra cui il napoletano Giuseppe Saverio Poli, pensarono a un fuoco artificiale più forte del solito. Non era così: si trattava invece di uno dei più forti terremoti mai visti nel Meridione, i cui effetti sono stati stata tramandati dallo stesso Poli nella sua Memoria sul tremuoto de' 26 luglio del corrente anno 1805.

Il “terremoto di Sant'Anna” fece cinquemila vittime, di cui ben tremila solo nel Matese. Perché se a Campobasso e a Isernia un terzo delle abitazioni crollarono, parecchi borghi e villaggi della montagna molisana vennero completamente rasi al suolo. Fra questi, proprio a metà strada tra Isernia e Campobasso, c'era Frosolone, probabile epicentro del sisma, dove si dice che morirono mille dei 4mila abitanti. Non era la prima volta che un sisma particolarmente forte si abbatteva con esiti disastrosi su questo borgo di antiche origini osche e sannite (attestate, queste origini, dai resti di mura ciclopiche in località Civitello). Era accaduto nel 1456, e forse prima ancora, nel 1349. Ogni volta però i suoi abitanti lo avevano fatto risorgere, con l'ostinazione tipica dei molisani di montagna. Così fu dopo il terremoto del 1805, nonostante il fatto che i lavori durassero decenni, e che ancora dopo l'Unità d'Italia qua e là in paese si scorgevano macerie. Come si poteva immaginare, del resto, che la gente del posto abbandonasse il mondo bucolico in cui era cresciuta, i boschi e i prati, il Colle dell'Orso e le rocce irreali della Morgia Quadra? Come si poteva immaginare di abbandonare un paese così suggestivo, abbarbicato su un piatto promontorio circondato per tre lati da pareti scoscese?

Sarebbero poi occorse le crisi economiche e la crescente povertà per spopolarlo, quando l'emigrazione in America portò via più abitanti di quanto mai avessero fatto i terremoti. Ma intanto Frosolone aveva saputo conservare il suo centro storico dall'impianto medievale con le sue tre antiche porte ad arco (Porta S. Maria, Porta S. Pietro, Porta S. Angelo), e poi le sue antiche croci viarie, le sue chiese barocche. A partire dalla parrocchiale del 1777, che tuttora esibisce la sua alta facciata in pietra preceduta da una scalea a doppia rampa ornata da una statua della Madonna Assunta circondata da angioletti, mentre l'interno conserva diverse tele di un pittore di fine Settecento, Giacinto Diana: una Madonna in gloria, una Madonna del Carmelo, un San Vincenzo Ferreri.

Ma molti altri edifici religiosi sono sopravvissuti in paese. Come la chiesa di Sant'Angelo (con tele del Sei e Settecento), la chiesa di San Rocco (due tele di Francesco Fracanzano, raffiguranti San Pietro e Sant'Antonio abate), la chiesa di San Pietro (una Sacra Famiglia in terracotta di Amalia Dupré e una statua lignea settecentesca dell'Immacolata, opera di Paolo Di Zinno) e la chiesa di San Nicola (bello il coro ligneo).

Una menzione particolare, appena fuori dell'abitato di Frosolone, accanto al cinquecentesco convento soppresso dei cappuccini, merita poi la chiesa di Santa Maria delle Grazie: il suo altare maggiore è costituito da un monumentale “retablo” intarsiato, intagliato e dipinto con nove eccezionali tavole di scuola manierista napoletana del Seicento (nella foto a sinistra). Era anticamente un convento anche l'antico complesso di S. Chiara, fondato nel 1367 e che è stato anche un carcere: restaurato, è dal maggio 1995 sede municipale.

E fra gli edifici civili spicca il Palazzo baronale, dalla storia antichissima: sprge dove nel Medioevo i longobardi avevano eretto un castello. Alla metà del XII secolo era di proprietà di Raynaldo di Pietrabbondante. Più tardi passò ad Andrea d’Isernia, ai d’Evoli, ai Montagano, ai di Capua, ai de Raho, ai Marchesano, ai Carafa, ai della Posta e infine ai Muscettola. Dal 1771 appartiene alla famiglia Zampini.

Quanto ai musei locali, oltre a quello, visitatissimo, dei ferri taglienti (vedi l'approfondimento dedicato), Frosolone propone pure di fronte alla parrocchiale dell'Assunta un Museo del costume e del corredo antico, in piazza Municipio: vi sono esposti tovaglie e lenzuola che facevano parte della dote delle spose, costumi popolari che venivano indossati specialmente in occasione delle più importanti feste religiose (come quella di Sant’Antonio quando gli abitanti andavano in giro per il paese cantando motivi popolari), ma anche ciondoli e amuleti che venivano utilizzati contro il malocchio.

Testo di Roberto Copello; per le foto, Getty Images (in alto e verticale); cappuccinifoggia.it (retablo); Pino Santagata (centro storico, nel testo).

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Articolo realizzato nell’ambito del progetto RESTA! –finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Generale del Terzo settore e della responsabilità sociale delle imprese-Avviso n.1/2018