“Sono a Civita, felicemente, felicemente a Civita. Mi ritrovo in questi ritmi, qui ho imparato ad abbracciare il vuoto”. Antonella Vincenzi è una donna generosa, lo è a parole, ma soprattutto lo dimostra nel rapporto con le sue origini e la comunità con cui ha deciso di condividere tanta parte di una vita affatto monotona.
Il contesto in cui ci conosciamo anticipa molto di quello che ci diremo. La mia prospettiva è una strada milanese a due corsie che si infila tra una manciata di palazzi giallo ocra, mentre Antonella si trova a più di mille chilometri di distanza, su una terrazza di un paese dell’Appennino calabrese della provincia di Cosenza, a 450 metri sul livello del mare. Mentre mi parla dà le spalle alle montagne del Pollino e in fondo alla sua di prospettiva, c’è l’orizzonte blu dello Ionio.
“Sono fortunata, perché dove vivo la natura è stata generosa – dice Antonella – tra le rocce che ci circondano, le acque del Raganello, il verde delle foreste e lo Ionio sullo sfondo si concentrano energie molto forti. Siamo tra i monti, ma con un punto di fuga verso il mare”: metafora di uno stato di isolamento, da cui si intravede sempre una possibilità.
“Ma tra i monti del Pollino non si vive di sola poesia, anzi. La realtà a cui costringe un paese di poco più di 800abitanti in mezzo alle montagne della Calabria può essere dura, a tratti quasi insopportabile”, spiega Antonella.
"Un foglio bianco su cui scrivere il futuro"
Ma allora, cosa muove la scelta di restare, o di ritornare qui? “Ho lasciato Civita quando avevo diciotto anni, ho vissuto un periodo in Inghilterra, poi mi sono laureata a Roma, poi sono stata in Spagna e in Centro America, sperimentando sia la vita delle grandi metropoli, che la quotidianità di piccole comunità rurali attraversate anche da molta violenza - racconta Antonella -. Il bivio della mia vita si è presentato con la scelta per il futuro di mia figlia, Vittoria. Dieci anni fa siamo tornate in un posto che per me rappresenta le origini, e in cui posso essere la prima attrice del mio futuro. Ecco, per me Civita è un foglio bianco, un luogo piccolo, ai margini della geografia, della politica nazionale e dell’economia. Ma tra questi margini, mi sento però più libera lavorare al mio cambiamento”.
Centro della cultura arbëresh
Per comprendere a pieno la scelta di Antonella, va aggiunto un capitolo di storia, questa volta collettiva, europea, mediterranea. Civita è infatti una delle cinquanta località italo-albanesi che compongono l’Arbëria: 41 comuni e 9 frazioni sparse in nove regioni italiane e concentrata soprattutto in Calabria. Si contano circa 100mila abitanti che conservano e tramandano la cultura e la lingua arbëresh, l’antico albanese. Sono discendenti di famiglie provenienti dall'Albania e da comunità albanofone della Grecia, migrate tra il XV e il XVIII secolo in Puglia, Calabria, Campania, Sicilia e Molise dopo la conquista ottomana delle loro regioni.
“C'è un detto che dice… toglimi tutto ma non togliermi il mio idioma, la lingua, per noi un motivo di sopravvivenza quotidiana”. Antonella appartiene a una famiglia arbëresh: “Io faccio parte di una minoranza etnica, e il mio movente è restare, rimanere ancorata alla mia lingua, alla mia cultura. In casa parlo arbëresh, sperando di tramandare a mia figlia questo tesoro inestimabile”.
La cultura dell’antica Arbëria Antonella l’ha anche portata nella sua attività, un B&B in cui accoglie e accompagna turisti e viaggiatori a scoprire il territorio. Si chiama la Magara, un nome che richiama la magia (‘A Magara deriva dal dialetto calabrese e significa la strega), ma anche la finestrella che consente una via di fuga al fumo dei camini.
Luogo di ritornanti e nuovi incroci
“Da questa che era la casa di mia nonna, introduco Civita e il suo territorio ai miei ospiti. La “mia” Civita è un borgo pieno di fascino in cui resiste una comunità. Per esempio di fronte alla mia casa c'è zia Rita che ha 75 anni, che ancora lavora alla vigna e fa il vino in onore del marito. Ci sono salite ripidissime da cui ci si deve “riprendere” rifiatando nelle “chitonie”, le piazzette e gli slarghi del centro storico, perché anche la geografia ci suggerisce che tutto è in salita quando si arriva a Civita. È nelle chitonie che accolti da una panchina si svolgono molte attività, si discute, si scambia, ci si apre agli altri e si rifiata, scrutando il mare”.
Nel borgo vivono e lavorano molte donne e sono coese tra loro. Sono infatti una trentina le attività che tra BeB e affittacamere accolgono turisti, ma non solo. “Non voglio solo ricevere e salutare, la mia ambizione è piuttosto stimolare a riabitare. Da me un giorno arrivarono due fratelli israeliani, uno viveva a Los Angeles, l’altro aveva una relazione tormentata a Roma che lo ha quasi spinto al suicidio. Suo fratello lo ha portato in viaggio e sono capitati qui, da me. Lì è nata una nuova vita per lui. Ha accettato la mia proposta di investire a Civita e ora gestisce tre immobili e sta aprendo una locanda di prodotti tipici, costruita con materiali locali e tecniche di bioedilizia”.
Il turismo delle vacanze a Civita oggi parla molte lingue: “Una decina e più di anni fa qui villeggiavano perlopiù famiglie e coppie pugliesi. Oggi grazie agli investimenti nella promozione e alle collaborazioni con i tour operatori riceviamo moltissimi turisti statunitensi, oltre a tedeschi, inglesi e ultimamente anche norvegesi. Sono così numerosi e frequenti i gruppi che accogliamo, da averci spinto a creare una cooperativa al femminile per gestire e redistribuire, grazie a un algoritmo, i guadagni”, che per molte donne di qui significano indipendenza in una società ancora molto patriarcale.
A Civita tuttavia, i turisti non sono semplicemente turisti. Perché prima di lasciare la Calabria ricevono puntualmente una richiesta esplicita. “Quando saluto un mio ospite, gli chiedo un atto di responsabilità. Ti ho raccontato di me, ti ho offerto la mia cucina e ti parlo con la lingua che esprime la mia cultura e le mie radici, ma tu dovrai farne tesoro e raccontare la tua esperienza. Solo in questo modo mi aiuterai a non estinguermi, a non estinguerci, a ripopolare questo posto”.
Turisti responsabili, finalmente, ma anche nuovi residenti e riabitanti, tornanti e ritornanti, rigenerazioni personali e culturali in una comunità solida, cresciuta con radici profonde, che affondano tra le montagne del Pollino, ma che fioriscono con mille sfumature del mondo e parlano la lingua del Mediterraneo.
La Bandiera Arancione del Tci
Civita è uno dei borghi Bandiera Arancione della Calabria insieme a Bova, Gerace, Morano, Oriolo e Taverna, sei dei 290 comuni Bandiera Arancione in tutta Italia.