Era il lusso dei poveri, da sempre non ostentato, non esibito, riservato al ristretto ambito della comunità di villaggio. Forse è questa la ragione per cui il carnevale alpino è rimasto un fenomeno poco noto al di fuori delle zone in cui viene ancora celebrato. Mille miglia lo separano dai carnevali di città, dove vince lo spirito del divertimento, del piacere narcisistico di stupire mostrandosi mascherati, dell'esibizione di chi già ha soddisfatto i suoi bisogni primari. In montagna, invece, il carnevale tende a essere un rito collettivo per valligiani che concepiscono la loro vita come dipendente dai ritmi non determinabili della natura. Ecco perché nei villaggi alpini troviamo maschere codificate e ruoli fissi eppure vari, proprio come il ripresentarsi delle stagioni. In tutto l'arco alpino i carnevali hanno spesso il carattere di una processione rigidamente strutturata, dove all'improvvisazione è concesso ben poco spazio: il segno si fa rito, si fa azione che auspica il ritorno della primavera, nella speranza che campi e boschi diano ancora i loro frutti, che fame e miseria se ne stiano lontane, che la divinità non neghi la sua protezione. Nulla di folcloristico, dunque, nei carnevali che rallegrano le domeniche di febbraio di qua e di là delle Alpi, dalla Svizzera al Tirolo, dalla Valle d'Aosta al Trentino.

Ma è nel Comelico Superiore e a Sappada che sopravvivono alcune delle mascherate più complete di tutta la montagna europea, nelle quali sono sempre presenti le tre categorie di personaggi fondamentali in questo genere di cortei: gli “Annunciatori” (sia “belli” che “brutti”), i Messaggeri e i Garanti. E se fedelissime allo spirito originale, sacrale e religioso, sono le mascherate del Comelico Superiore, il Carnevale di Sappada (per il quale è appena stato avviato l'iter per candidarlo a bene immateriale dell'Unesco) tende invece a esaltare di più i valori sociali. Le sue origini risalgono a quelle della piccola comunità germanofona che quassù si insediò nel medioevo, e non è dunque un caso che manifestazioni simili si ritrovino in Tirolo, nel carrnevale di Telfs, presso Innsbruck.

Il Carnevale Sappadino (Plodar Vosenòcht) è allegoricamente dedicato ai pezzenti, ai contadini, ai signori, ognuno dei quali ha dedicata una delle tre domeniche di festeggiamenti che precedono il Mercoledì delle Ceneri (ma a Sappada si sfila anche il Giovedì, il Lunedì e il Martedì grassi). Si susseguono dunque la “Domenica dei poveri” (Pèttlar sunntach), dove si vestono abiti dimessi, la “Domenica dei contadini” (Paurn sunntach) in costume da agricoltori, e infine l'attesissima “Domenica dei signori” (Hearn sunntach), in cui si sfoggiano i costumi più raffinati. Travestimenti, scenette e dialoghi sono ispirati alle diverse occupazioni, ma tutti i cortei risultano molto sfarzosi, mentre i questuanti che bussano alle porte ricevono in dono una “schotte knelle”, una piccola ricotta. Bellissime e arcigne sono le maschere in legno (lòrvn), intagliate da bravi artigiani locali, e per le quali dal 1998 si organizza anche una gara di intaglio, la “Schnitzar Bette”. Grazie ad esse, ognuno per un giorno può farsi da povero ricco, e da ricco povero.

L'aspetto sociale delle sfilate sappadine non impedisce però che il personaggio più tipico del Plodar Vosenòcht, tanto da essere eletto a simbolo di Sappada, sia una figura sacrale: è il Ròllate (rollat), cui spetta il compito di aprire e chiudere le sfilate, e al quale è interamente dedicata la giornata del Lunedì grasso. Il pellicciotto (pelz) di caprone e il cappuccio gli conferiscono un aspetto bestiale, quasi a farlo sembrare un orso dal volto umano, ma la sua origine zoomorfa non gli impedisce di rivestire funzioni tanto divine, di “Annunciatore bello”, quanto demoniache, di “Garante” che brandisce minacciosamente una scopa (hadratpesn).

Il suo nome, Ròllate, deriva dalle rumorose sonagliere di bronzo che porta alla cintura, le “rolln” nel dialetto locale. I pantaloni a righe orizzontali bianche, nere e rosse sono confezionati con la “hille”, la tela con cui d'inverno si coprivano gli armenti. Al collo porta un fazzoletto (hòntich), rosso per i coniugati e bianco per i celibi. Ai piedi ha scarponi chiodati (aisnschui), con i quali può inseguire e terrorizzare i bambini anche sulle strade ghiacciate.

Come accade nelle altre località di montagna teatro di carnevali alpini, durante il Carnevale a Sappada si preparano anche diversi dolci, con le cuoche che cercano di dare il meglio prima delle restrizioni e dei digiuni quaresimali. E se tuttora le frittelle lungo l’arco alpino sono il dolce più semplice e diffuso di Carnevale, le varianti sono moltissime, nella preparazione della pastella o nella forma della frittella: a Sappada trionfano dunque le semplici frittelle (muttn), ma anche i krischkilan (una sorta di chiacchiere o di cròstoli come li si chiama nel Triveneto), gli hosenearlan (orecchiette di lepre, la versione locale delle castagnòle bellunesi a forma di castagna e con uvetta e pinoli nell’impasto), i mognkròpfn (con il ripieno di papavero, sono l'equivalente dei carfògn agordini a mezzaluna).

Testo di Roberto Copello; foto turismofvg.it, infosappada.it e mapio.net

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Articolo realizzato nell’ambito del progetto RESTA! –finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Generale del Terzo settore e della responsabilità sociale delle imprese-Avviso n.1/2018