Un borgo medievale, sorto in posizione strategica appena sotto a un castello del Duecento, fra Cesena e Rimini, fra il litorale della Riviera romagnola e i rilievi dell'Appennino cesenate. Ma anche un paese che non si limita a guardare al passato, come prova il fervore di iniziative che in pochi anni l'ha proposto come polo culturale dei paesi della fascia pedemontana romagnola. È Longiano, un vero “balcone di Romagna”, al limite della Valle del Rubicone, immerso nel paesaggio di quella dolce collina cesenate dove particolarmente intelligente e razionale è stata l'occupazione del territorio da parte dell'uomo.
L'assetto del nucleo più antico del paese, sviluppatosi attorno a un colle sul cui culmine sorge una rocca, è davvero un esempio perfetto di urbanistica medievale. Le case sono state disposte preferibilmente sul pendio meridionale, più regolare e anche meglio esposto al sole. Sopra di esse, la Rocca malatestiana conserva intatta la fisionomia di possente edificio fortificato d'impianto due-trecentesco (seppure in parte alterato da un intervento operato verso la metà del XVI secolo e poi da un importante restauro del XIX secolo). Un doppio circuito di mura è accessibile attraverso tre porte successive, porta Tagliata, del Girone e del Ponte. All'ingresso, la cosiddetta Vasca Veneziana, una sorta di pozzale nella Corte del Castello, costituisce una rara testimonianza di quando la Romagna, a inizio del Cinquecento, ricadde per appena quattro anni sotto il dominio della Serenissima.
La Rocca però non è un ambiente del passato, ma è tuttora il cuore della vita civica e culturale di Longiano. Lo dimostra, appena fuori dal Castello, sulla Corte, la Ragazzina sulle Mura, iconica scultura in bronzo che domina il borgo in un perfetto dialogo con il territorio (da lassù si vede anche il mare), e che è divenuta un emblema del paese: a realizzarla è stato un artista che come pochi ha saputo plasmare l'identità del territorio, il cesenate Ilario Fioravanti (1922-2012). L'interno della Rocca ospita poi una delle più importanti collezioni d'arte moderna e contemporanea dell'Emilia Romagna, quella della Fondazione “Tito Balestra” (scopri di più sulla Fondazione).
Le origini del castello dovrebbero risalire addirittura al VII-VIII secolo, poco dopo l'arrivo in zona dei Longobardi, ma in ogni caso una pergamena del 1059 attesta che in quell'anno qui esisteva sicuramente un'importante roccaforte. A mezza strada fra Rimini e Cesena, Longiano si schierò pressoché sempre con la prima. Così il suo castello fu distrutto nel 1198 dai cesenati, ma ricostruito l'anno dopo con l'aiuto dei riminesi, nel segno di un'alleanza che nel 1216 inflisse ai cesenati assalitori una dura batosta su quello che fu chiamato proprio Monte della Sconfitta. Così, quando Rimini passò ai Malatesta, anche Longiano fece lo stesso. E quando, nel 1297, i cesenati riuscirono ancora a incendiare il borgo, i Malatesta lo fortificarono ulteriormente, dandogli un lungo periodo di sicurezza e di stabilità. Passata nel 1463 allo Stato della Chiesa, Longiano fu poi messa a ferro e fuoco nel 1503 da Cesare Borgia ma, a parte brevi periodi, compreso quello napoleonico, restò pontificia sino al 1860 (dal paese era transitato nel 1849 anche Giuseppe Garibaldi, in fuga da Roma).
Tutte vicende storiche che danno comunque l'idea dell'importanza di Longiano, paese dove, oltre alla Rocca, ci sono diverse altre cose da vedere. A partire dalle chiese.
Gli Statuti di Longiano ne nominavano ben 15, di cui nove nel centro storico dove oggi ne restano tre consacrate (oltre a due sconsacrate). La prima è il santuario del Ss. Crocifisso, di origini trecentesche ma ricostruito nel '700 in forme neoclassiche dall'architetto riminese Pietro Borboni, con i capitelli e i cartigli opera dello scultore e decoratore riminese Antonio Trentanove; il crocifisso che vi è venerato è un'icona su tela del Cristo in gloria, di scuola pisanogiuntesca, datata intorno al 1270. La seconda è la collegiata di San Cristoforo, che risale a prima dell'anno Mille, anche se è stata riedificata nel 1712. La terza è l'armonioso oratorio barocco di San Giuseppe Nuovo (1732), con facciata in mattoni a vista e interno a croce greca, ma soprattutto con l'esuberante decorazione a stucco dell'interno, che costituisce la più intatta testimonianza dell'architettura settecentesca tardobarocca nella Romagna meridionale: conchiglie, mascheroni, capitelli, volute intrecciate di fiori, frutta e putti angelici portati a termine fra il 1789 e il 1791 da Antonio Trentanove, che con l'aiuto di artigiani locali realizzò anche le statue delle tre Virtù teologali (Fede, Speranza, Carità) e di una Virtù cardinale, la Giustizia, nonché i pannaroni degli altari e gli stucchi a raggiera delle cupole. Notevoli anche tre grandi pale d'altare attribuite ad Antonio Zanchi.
L'oratorio di San Giuseppe ospita anche il Museo d'arte sacra, importante raccolta di opere d'arte e oggetti sacri, come arredi, paramenti, reliquie, ex-voto provenienti dalle chiese di Longiano e dal suo territorio, dove esistevano tre conventi. Da segnalare la reliquia del corpo di San Valerio Martire. Notevolissimo è anche un gruppo scultoreo in terracotta policroma con cui Ilario Fioravanti realizzò nel 1985 un emozionante Compianto sul Cristo morto, sul modello attualizzato di quelli che furono i grandi compianti in terracotta dell'area padana fra il Quattro e il Cinquecento (celeberrimo quello di Niccolò dell'Arca in Santa Maria della Vita, a Bologna). Altro pezzo forte del Museo d'arte sacra è poi l'icona quattrocentesca della Madonna detta delle Lacrime, che il 2 marzo 1506 fu vista sudare da tal Sebastiano Barberi. L'icona miracolosa di Longiano è stata descritta da Oriana Fallaci nel suo libro autobiografico Un cappello pieno di ciliegie: “Le piaceva tanto, la Madonna delle Lacrime. Aveva due belle guancie paffute, indossava una bella veste cremisi e trapunta di stelle, col braccio destro reggeva un bel bambolotto che probabilmente era il Bambin Gesù”.
Sebastiano Barbieri donò la sua casa perché vi si costruisse la chiesa appunto di Santa Maria delle Lacrime. Ricostruita in forme barocche nel 1772, poi sconsacrata, oggi è diventata una delle due sedi espositive del Museo Italiano della Ghisa (MIG), nato per recuperare prodotti che hanno contraddistinto gli spazi urbani fra il XIX secolo e l'inizio del XX, a partire da quando nelle città si diffuse l'illuminazione a gas. Nell'interno dell'ex chiesa, così, oggi alcuni grandi candelabri in ghisa trovano un insolito contrappunto nei mattoni a vista delle spoglie pareti. L'altra sede del MIG si trova invece sulla via Emilia, all'altezza della frazione di Ponte Ospedaletto, dove nell'ampio spazio industriale di un ex impianto di verniciatura sono collocati una sessantina di lampioni realizzati da grandi fonderie ottocentesche e firmati, in alcuni casi, da artisti come Duilio Cambellotti e Ernesto Basile. A questi si aggiungono un centinaio di oggetti che abbellivano i luoghi pubblici: panchine, fontane, ringhiere e mensole, battenti per porta e scansaruote.
Ma i musei di Longiano non finiscono qui. I locali dell'ex Convento di San Girolamo ospitano la Galleria delle Maschere, con 31 bronzi in cui l'artista longianese Domenico Neri a fine anni Novanta ha voluto raffigurare le maschere della Commedia dell'Arte. In un vecchio asilo infantile invece è allestito dal 1986 il Museo del Territorio di Longiano, che raccoglie circa 6.000 reperti della zona e di tutta la Romagna, relativi ai mestieri di un tempo (fabbro, falegname, muratore, contadino) e ai lavori domestici (tessitura, cura dei figli). Notevole è la raccolta di piante topografiche locali d'inizio '800.
Detto delle chiese e dei musei, cos'altro resta da vedere a Longiano? Quanto meno, il Teatro Petrella, tipico esempio di teatro ottocentesco all'italiana, con due ordini di palchi e un loggione, caratterizzato da un'acustica straordinaria: un gioiello, insomma, inaugurato nel 1870 con l'opera I Promessi Sposi del compositore Errico Petrella (a cui il teatro fu dedicato) e poi ben restaurato nel 1986. Notevolissima pure la Biblioteca Storica “Lelio Pasolini”, istituita nel 1647 nell'ex Convento di San Girolamo e che oggi, grazie a varie donazioni, conserva oltre 10.000 volumi, di cui 500 edizioni del XVI secolo, 1000 edizioni del XVII secolo, 2500 edizioni del XVIII secolo, 4000 edizioni del XIX secolo e dei primi del XX.
Testo: Roberto Copello - Foto: Marco della Pasqua (immagine di testata), Viterbo Fotocine (panorama del paese), Andrea Cecchetti (santuario SS. Crocifisso), Comune di Longiano (Teatro Petrella)
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