Il nome deriva da “apricus”, che in latino significa “soleggiato”. Le etimologie dei nomi geografici, si sa, sono sempre dubbie, ma il viaggiatore che, essendo salito da Ventimiglia e avendo tralasciato di fermarsi a Dolceacqua, poco dopo aver svoltato al bivio di Isolabona d'improvviso vede Apricale apparirgli dopo una curva in quella sua superba posizione, beh, non fatica a convincersi che, forse, questa volta l'etimologia è azzeccata: il borgo ligure, di aspetto marcatamente medievale, se ne sta arroccato in maniera scenografica su un verticalissimo pendio disposto a mezzogiorno sopra la valle del rio Mandancio, in modo che le sue case, disposte in modo lineare e a semicerchio attorno alla rocca feudale, godano effettivamente di quante più ore di sole possibile. E tutt‘intorno, a circondarlo, una corona di pendii verdeggianti, di fasce sostenute da muretti a secco, di uliveti e boschi di castagno.
Insomma, sarà anche vero che da queste parti qualcuno s'era già insediato in epoca antichissima, come attesta un tumulo sepolcrale celtico sul Pian del Re (5500 a.C.) e un insediamento portato alla luce sul monte Semoigo, ma far sorgere un borgo in cima e attorno a un cocuzzolo del genere è stato un autentico colpo di genio. E di coraggio. Tanto di cappello dunque a chi lo fondò attorno al X secolo d.C., e ai conti di Ventimiglia che se lo tennero ben stretto almeno fin quando le genti del posto, caparbie come un ligure di montagna, li cacciarono via e si autoproclamarono libero Comune. Correva l'anno 1266, e gli statuti comunali, con le loro norme di diritto civile, penale e amministrativo, sono i più antichi della Liguria (sono contenuti in due pergamene gelosamente conservate in una vetrina del museo di storia locale, nel castello). Peccato che solo pochi anni dopo, sul finire del XIII secolo, Apricale passò sotto il dominio dei Doria, che ricavarono nelle mura tre porte ad arco acuto, uniche vie d'accesso al borgo. Fra alterne vicende, Apricale si trovò poi più volte al centro di contese fra i genovesi Doria e i monegaschi Grimaldi, senza mai perdere una certa sua importanza, Come prova l'ospitale per viandanti di cui si sa che a fine Cinquecento era già in attività, e che nel Settecento s'era dotato di trapunte di lana e di trentadue lenzuola, pari certamente al numero dei letti.
Ma torniamo a quello stesso viaggiatore di cui si diceva all'inizio. Appena ripresosi dallo stupore comunicatogli dalla vista di Apricale, nella testa potrebbe corrergli un pensiero: e lassù in cima, come ci arrivo? Par quasi impossibile, il che conferma che Apricale è davvero uno dei borghi fortificati meglio conservati della Liguria. E invece, lasciata l'auto presso piazza Vittorio Veneto, in basso, basta poi prendere la via Roma, infilarsi nel dedalo di ripidi vicoli, scale e gradini, sottopassaggi voltati, piccoli ballatoi, incunearsi fra case in pietra addossate l'una all'altra, notare i bassorilievi sui portoni in pietra, soffermarsi ogni tanto davanti alle scene di vita contadina e ai paesaggi del Ponente ligure rappresentate sui tanti murales che negli anni 60 decorarono i muri delle case del borgo, con un'iniziativa di sgargiante “valorizzazione” turistica (oggi un po' sbiadita) in verità non apprezzata da tutti...
Alla fine della salita, si sbuca sulla sommità del paese, in piazza Vittorio Emanuele, un gioiello di equilibrio fra gli spazi e i volumi delle sue chiese, del palazzo comunale, dei portici e delle antiche case. Una piazza che sembra un teatro, con due palcoscenici contrapposti: quelli dei sagrati della chiesa parrocchiale e dell'oratorio di San Bartolomeo, che si ergono su un terrapieno sorretto da arcate. E, in effetti, il palcoscenico naturale della piazza Vittorio Emanuele a partire dal 1990 ha trovato una nuova ragion d'essere con le rappresentazioni del Teatro della Tosse di Genova, che ogni agosto sposta ad Apricale attori, registi e maestranze, per mettere in scena uno spettacolo a stazioni sempre nuovo, che dalla piazza si allarga alle strette vie del paese, per la gioia dei turisti ma anche dei residenti locali (fra i quali è folta la colonia di stranieri, francesi e tedeschi, olandesi e scandinavi, che hanno eletto quest'angolo estremo di Liguria come loro luogo del cuore).
Vale la pena entrare nell'oratorio di San Bartolomeo per ammirare i suoi stucchi settecenteschi, una tavola cinquecentesca a olio che raffigura sant'Antonio Abate, opera forse di Stefano Adrechi, e soprattutto un polittico del 1544 in cui un artista ponentino ha raffigurato la Madonna con ai lati san Lorenzo e lo stesso stesso san Bartolomeo, santo molto venerato su tutto l'Appennino ligure. La chiesa parrocchiale è dedicata alla Purificazione della Vergine, una festività un tempo festeggiata il 2 febbraio ma che la Chiesa non celebra più; ha antiche origini ma è stata del tutto trasformata dopo il disastroso terremoto del 1887. Presenta un interessante pavimento in mosaico, piacevoli vetrate e una Via Crucis degna di nota.
Sopra di essa, in posizione dominante, c'è il Castello, detto anche Castello della Lucertola, con la parte inferiore di una torre quadrangolare del XII secolo che fa da basamento al campanile cinquecentesco della chiesa, su cui si arrampica, protesa nel vuoto, la bicicletta pensata dall'artista Sergio Bianco e divenuta un simbolo di Apricale. Restano del Castello, che nel 1523 quando era governato dai marchesi di Dolceacqua fu distrutto per volontà del vescovo Agostino Grimaldi, anche alcune parti delle mura esterne, alcune opere di difesa inglobate in una casa privata, un giardino pensile di inizio XX secolo su cui s'affacciano gli ambienti del Museo della storia di Apricale, che illustra la storia del paese attraverso memorie e documenti storici, materiali archeologici, cimeli e curiosità, organizzati in sezioni tematiche.
Di proprietà comunale, il Castello è stato radicalmente restaurato non molti anni fa, adibendolo così a sede museale e di mostre d'arte (qui negli anni '90, grazie a una fruttuosa collaborazione con la Fondazione Maeght di Saint Paul de Vence, furono allestite mostre con artisti di fama internazionale). Il Museo della storia di Apricale narra la storia del paese attraverso memorie e documenti storici, materiali archeologici, cimeli e curiosità. La visita inizia dal piano rialzato e si snoda attraverso le stanze del castello. Una di esse espone una rassegna fotografica delle manifestazioni nel borgo e nel castello, un'altra è dedicata al personaggio più famoso di Apricale, l'intrigante “contessa” e spia Cristina Anna Bellomo (vedi approfondimento dedicato). Seguono poi la stanza degli Statuti di Apricale, con i celebri documenti originali della storia medievale del paese; la stanza del Risorgimento, dedicata in gran parte al tenente di cavalleria Giulio Nobile di Apricale (1799-1873), luogotenente di Carlo Alberto; le stanze dei ricordi artistici su Apricale. Quindi si visita il salone superiore, dove si svolgono mostre d'arte moderna o contemporanea. Infine si scende nei sotterranei, un tempo cantine e magazzini coperti da volte a botte, teatro ogni primavera della Festa dell'olio nuovo. Attraverso la parte più bassa degli stessi sotterranei, formata da due antiche cisterne, si accede alla loggia superiore affacciata sul sagrato della chiesa e alla Galleria del Teatro, dove sono esposti manifesti relativi alle rappresentazioni allestite dal Teatro della Tosse e sagome di scenografie realizzate da Emanuele Luzzati, il bravissimo artista genovese che con la Tosse collaborò a lungo, e al quale Apricale concesse la cittadinanza onoraria.
Interessante anche percorrere la via Cavour, in parte coperta, che corre lungo il fianco destro dell'oratorio di San Bartolomeo per poi arrivare al cimitero al cui centro sorge la chiesa romanica di Sant'Antonio abate, che ha una facciata barocca con l'originale tinteggiatura “a marmorino” (un graffito la data al 1793), in grado di conferire alle pareti il tipico effetto del marmo, ricreandone le particolari striature e la tipica lucentezza. Nell'interno c'è un abside duecentesco con affreschi quattrocenteschi che rappresentano il Cristo nella “mandorla mistica” e gli evangelisti, oltre a interessanti quadri probabilmente settecenteschi posti alle pareti laterali.
Altre chiesette di notevole interesse si trovano un po' più lontano, fuori dell'abitato. Una ripida mulattiera, partendo dal vecchio ponte levatoio (presso cui c'erano le forche, la fontana del pozzo e gli ottocenteschi lavatoi), scende dal paese verso la chiesa-fortezza quattrocentesca di S. Maria degli Angeli, presso il rio San Rocco, che un tempo conservava una tela purtroppo andata perduta dipinta da Perin del Vaga nel suo periodo di permanenza alla corte dei Doria di Genova. Restano le pareti e la volta a crociera ricoperti da interessanti affreschi che vanno dal Quattrocento al Settecento, ben restaurati sul finire del XX secolo dalla Soprintendenza per i beni storici e artistici della Liguria. Gli affreschi più antichi dovrebbero essere quelli dell'Assunta e degli Evangelisti, sulla seconda campata, mentre si segnalano per la loro qualità pittorica i Padri della Chiesa affrescati da un ignoto pittore lombardo di inizio Cinquecento nella prima campata. Gli affreschi più tardivi raffigurano invece storie della vita della Madonna e di Cristo.
Procedendo per il paese lungo quella che fu per secoli l’unica via di accesso al borgo, s'incontra un altro antico edificio, detto “Casa o Torre del Boia” dove si può osservare un poggiatesta in tufo, posizionato al lato est: si racconta che la testa di chi già era stato impiccato venisse poi mozzata e qui deposta per diversi giorni, a monito di chi transitava. Le stanze, poste su quattro livelli, ospitano un insieme di oggetti (prevalentemente asce) e oggetti da taglio. Infine, a nord di Apricale, in piena campagna, ci sono i ruderi (sono rimasti in piedi i soli muri perimetrali) della chiesa di San Pietro in Ento, a una sola navata con abside semicircolare, risalente pare al 1230 e ritenuta da qualcuno la più antica della vallata; i resti fanno pensare che qui ci fosse un abitato successivamente scomparso. Il grande archeologo Nino Lamboglia riteneva che il toponimo “Ento” derivasse dal nome dei Liguri Intemeli, fondatori di Albium Intemelium, l'attuale Ventimiglia.
Testo di Roberto Copello; foto Thinkstock, Mapio (S. Antonio Abate)
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