Il cartello del Touring numero 8402 con il nome Ozzano Monferrato in risalto sul fondo blu scuro risale quasi a un secolo fa: riporta il “mandamento”, divisione amministrativa abolita nel 1923. Ma è tuttora utilissimo perché i navigatori satellitari cercano di avviarti dalla provinciale Casale-Asti verso il centro del borgo su per una stradina sterrata; al contrario, la storica tabella in metallo smaltato presidia l’accesso “ufficiale” da via Marconi che in un paio di curve ti accompagna fin davanti al Municipio e all’ufficio turistico. E spalanca così un mosaico di spunti articolato e stimolante, inaspettato per il visitatore frettoloso che, a pochi minuti di guida dall’uscita Casale Sud della A26, fatica a immaginare di poter scegliere tra trekking e archeologia industriale, enogastronomia di qualità e affreschi rinascimentali. Giusto per fare qualche esempio.
Vista panoramica di Ozzano Monferrato
Il segreto del borgo, Bandiera Arancione del Touring Club Italiano dal 2017? Prima di tutto la posizione, sulle prime increspature della pianura alle porte di Casale Monferrato. «Ottobre è il momento ideale per vedere Ozzano davvero arancione» sottolinea Mauro Monzeglio, consigliere comunale delegato al turismo e animato da una generosa passione per il suo territorio, mentre ti accompagna lungo la cresta collinare del percorso Arancione nei pressi di cascina Belvento. Stamattina regna una perfetta bruma ottobrina che sfuma i versanti delle colline, ma l’arancione c’è davvero e fiammeggia tra il fogliame autunnale delle vigne – qui si parla di vitigni di Freisa, Grignolino e Barbera – e non si limita alle originali “matite” segnavia colorate, alte due metri, che il Comune ha posto lungo i due percorsi ad anello (l’uno Arancione, l’altro Verde) di sei-sette chilometri che permettono di giocare all’esploratore senza smarrirsi. Magari anche con la mountain-bike elettrica.
E pazienza se in paio di punti c’è da scavalcare un fosso o un tratto dove, se ha piovuto, il fango può sporcare le scarpe. Siamo in campagna. Una campagna che, quando arriva un po’ di brezza a sgombrare il cielo, dai percorsi lungo la sommità delle colline gode di una spettacolare vista aperta, oltre le risaie del vicino vercellese, fino al Monte Rosa da un lato e le Prealpi liguri dall’altro. Una campagna che, soprattutto, nonostante la rilevanza economica di una produzione enologica di qualità, non paga la scotto di derive verso la monocoltura: i versanti più assolati a vigneto si alternano ai poligoni bruni velati di verde tenero dei settori dove si coltivano grano e granturco e alle macchie più scure dalle sfumature dorate, con le piante in file ordinate, dei noccioleti. «C’è un importante produttore di cioccolato italiano – precisa Mauro – che agli agricoltori offre condizioni trasparenti e ragionevolmente vantaggiose. E i nostri imprenditori agricoli non si tirano certo indietro».
Pietro Arditi titolare delle Cantine Valpane
La resilienza, peraltro, è una caratteristica atavica del Monferrato e gli ozzanesi non la smentiscono. «La prima ondata della pandemia? Visto che ero bloccato qui in cascina, ne ho approfittato per piantare quasi tre ettari di vigna nuova – esordisce Pietro Arditi, proprietario delle Cantine Valpane mentre racconta la storia degli edifici – un’insolito complesso a corte chiusa in cima alla collina – e delle sue storiche cantine, già nel 1902 in mano al nonno. Un’azienda bio? «Certo, il primo a bere il mio vino sono io, oltre a lavorare nelle vigne. – chiarisce senza battere ciglio Pietro – Non vedo perché rischiare, prima di tutto, la mia salute». La produzione? Intorno alle 60mila bottiglie all’anno, per gran parte esportate in 23 Stati degli Usa. Ma quest’anno una metà dei tini di acciaio inox è vuota. «La grandine ha dimezzato il raccolto. Una bufera violenta e localizzata. – racconta – A pochi passi dai miei filari coi grappoli devastati ce n’erano altri perfettamente integri». Pietro non smette, nel rispetto dei protocolli anti-Covid, di organizzare visite guidate della cantina e degustazioni; gli brillano gli occhi nel citare un episodio di poche settimane fa: un sommelier delle isole Hawai che propone le etichette Valpane nella sua wine list e, nonostante quarantene e problemi coi voli, ha voluto alloggiare nelle stanze del b&b di Pietro «per respirare la stessa aria del tuo vino».
Paolo e Mauro Angelini coi vini dell’azienda Angelini
La passione per le vigne coinvolge anche le nuove generazioni. I gemelli Mauro e Franco Angelini, 34 anni, rappresentano la terza generazione per l’azienda Vini Angelini e hanno da qualche anno affiancato il padre Paolo, classe 1955. «Il nostro Extra Brut Sechin è nato nel 2012 quasi per scherzo – racconta Mauro – perché vedevamo come le “bollicine” avessero sempre più successo». Poi, precisato che l’enologo, quello vero, è Mario Ronco di Moncalvo, si lancia in una dettagliata spiegazione sulla vinificazione, a partire da uve per metà Cortese e l’altra Chardonnay, per ribadire: «io comunque ho studiato da geometra, come mio padre. Ma la vigna è una passione che ti trascina». Così, mentre una parte delle 80 mila bottiglie della Angelini prende la via del Giappone «in container a temperatura controllata. Ma sono tutte cose che sa meglio il mio gemello: io sto in azienda, lui gira il mondo per vendere», i due fratelli hanno scelto di costruire una sala degustazione e spazio vendita all’interno di un vigneto a fianco della salita che, da Casale, porta a Ozzano. «Per rispettare il terreno – sorride Mauro – non poteva essere altro che ecoedilizia, energeticamente autosufficiente. Siamo andati fino a Vipiteno (tra l'altro altra Bandiera Arancione del Touring Club Italiano) per farcela fare». Per non farsi mancare nulla, nel post-Covid si sono inventati le “cene in vigna”, un modo di avvicinarsi alla gastronomia locale nel pieno rispetto dei distanziamenti…
Carla nell’Infernot Zavattaro
Stessa attenzione in una location, anzi due, completamente diverse, nel centro storico di Ozzano. Protagoniste sono madre e figlia, Carla e Alexa, che dividono le loro abilità culinarie tra il negozio di specialità gastronomiche di produzione propria La Botteghina, di fronte al Municipio ai piedi del castello, e il vicino Infernot Zavattaro, ambiente tutto da visitare: non a caso gli infernot, le camere sotterranee per il vino tipiche del Monferrato, sono tutelate dall’Unesco. Proprio Carla e Alexa sono tra le custodi della ricetta del Biciulant d’Ausan, il dolce tradizionale di Ozzano a sua volta protetto da De.Co., la denominazione d’origine comunale. Ma non solo: basta vedere lo sguardo determinato di Carla mentre spiega la ricetta del brasato al barbera, specie se il malcapitato interlocutore prova a chiedere se per il puré di contorno si usino le patate liofilizzate…
La Parrocchiale di San Salvatore
A fianco de La Botteghina, in piazza San Giovanni Battista, sorprende il visitatore lo sporto tardogotico con altana in legno di casa Bonaria-Simonetti, della fine del XV secolo: la salita ammattonata tra i due edifici conduce al castello fatto erigere dai Marchesi del Monferrato a partire dal XVI secolo e oggi proprietà privata: se ne visitano i giardini pensili all’italiana segnati da un cedro del Libano di dimensioni eccezionali. Lungo la salita si apre la piazza della parrocchiale di S. Salvatore, unica chiesa del Piemonte che nonostante una storia lunga e articolata di interventi e rifacimenti può vantare una navata principale dalla volta affrescata in epoca rinascimentale e una nutrita serie di affreschi del XV secolo, oltre a tavole della scuola di Moncalvo.
Panorama della valle del Rio Fontanola con le testimonianze di archeologia industriale
In parte nascosta dalla vegetazione della valle del Rio Fontanola, nel settore più pianeggiante del territorio comunale, Ozzano ha un’altra carta importante da giocare: il passato di centro dell’industria cementiera. Sotto le dolci ondulazioni a vigneto e noccioleto, infatti, si nascondono giacimenti di “pietra da calcina” noti fino dal XIV secolo. «Già dai primi dell’Ottocento – racconta Ezio Foresto, anima degli studi storici sui cavatori – i contadini avevano cominciato a integrare il lavoro agricolo con l’estrazione della marna dai pozzi». Attività che dal 1860 ha preso una dimensione industriale sempre crescente, al punto che nel 1910 quasi la metà della produzione italiana di cemento naturale di alta qualità arrivava da Ozzano. Un’avventura che si è conclusa un secolo più tardi, con la nascita del cemento “chimico” e la chiusura degli impianti, ma le cui testimonianze sono raccolte con cura nel MiCeM (Museo dei Minatori e Miniere del Cemento del Monferrato Casalese). È uno spazio allestito dall’associazione OperO nei locali dell’ex stabilimento Cementirossi, di recente acquisito da Comune: il progetto è di recuperare lo storico forno orizzontale del cementificio, di dimensioni colossali, e fare del museo un punto di riferimento per la visita dei numerosi esempi di archeologia industriale che lo circondano, prime tra tutte le sei ciminiere gemelle in laterizio dell’ex cementificio Milanese e Azzi. Tanto imponenti da essere state scelte, strizzando l’occhio alla Battersea Power Station usata dai Pink Floyd per Animals, come sfondo dal gruppo musicale romano Maneskin per il recente video Le parole lontane. Una dimensione di certo poco comune per un borgo Bandiera Arancione.
I vigneti "arancioni" nei pressi di Ozzano Monferrato
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Testo di Renato Scialpi - Foto di Lorenzo De Simone