Situata subito a nord ovest di Bergamo, e chiusa a nord dalla catena del Resegone, la Valle Imagna per secoli ha svolto un ruolo soprattutto di supporto agricolo (e in tempi più recenti anche industriale, grazie alle attività di tessitura) all'economia del capoluogo. Un ruolo evidente ancor oggi nel suo assetto territoriale, come mostrano gli insediamenti rurali che, soprattutto nei più antichi nuclei abitativi rurali di edilizia contadina, caratterizzati da una struttura a fortilizio, e grazie anche al paesaggio prealpino da cui sono circondati, formano un ambiente di forte suggestione. Un centro agricolo e di piccole industrie all'imbocco della valle Imagna è anche Almenno San Bartolomeo, che un ponte sul torrente Tornago divide (o congiunge) dalla vicina Almenno San Salvatore.

La storia del Comune è strettamente intrecciata prima con la storia di Lemine (toponimo di incerta origine che indicava un vasto comprensorio territoriale racchiuso tra la sponda occidentale del Brembo e quella orientale dell'Adda) e poi con quella di Almenno San Salvatore. Almenno San Bartolomeo nacque proprio per una scissione del territorio di Lemine Superiore: il 30 marzo 1601 fu rogato l’atto notarile che statuì la divisione fra Almenno San Salvatore e Almenno San Bartolomeo, assegnando a quest'ultima Albenza, Longa e Pussano come territori di pertinenza.

Almenno San Bartolomeo possiede notevoli opere d'arte, una delle quali – la chiesetta di San Tomè, fuori del paese - di assoluta eccellenza (ne parliamo in un approfondimento a parte). Anche il borgo però ha i suoi gioielli. Come la chiesa parrocchiale di San Bartolomeo di Tremozia, nella foto a sinistra, le cui origini risalgono almeno al Quattrocento (fu consacrata il 3 giugno 1453 dal vescovo Giovanni Barozzi). Nel 1520 divenne parrocchia con bolla pontificia di Leone X, se ne avviò la ricostruzione e nel 1562 fu visitata da san Carlo Borromeo. Abbattuta e ricostruita interamente nel XVIII secolo, quindi rimaneggiata nel 1867, la chiesa ha comunque conservato molte delle opere pittoriche più antiche. Degne di nota sono una “Pietà” (1651) di John Christophorus Storer, una “Presentazione al Tempio” (1825) di Francesco Coghetti, un quattrocentesco “San Pietro in Cattedra” di Cristoforo Caselli detto il Temperello e una “Educazione della Madonna” (1826) di Giovanni Carnovali detto il Piccio. Le sue gemme più preziose, però, sono altre.

Consistono in una tela del veneziano Bartolomeo Vivarini, “Madonna con il Bambino” (1485), e soprattutto in una famosa pala di Giovan Battista Moroni, “Lo sposalizio mistico di santa Caterina d'Alessandria” (1567-70). Si tratta di un grande olio su tela (228×148 cm) pensato per l'altare di una cappella laterale voluta da Francesco Lisotti perché dopo la sua morte vi venisse celebrata ogni settimana una messa a suffragio della sua anima. Rappresenta, sulla sinistra, santa Caterina appoggiata alla ruota che è simbolo del suo martirio, così come lo sono i rami di olivo e di palma che un angioletto regge sopra di lei. Sulla destra, in posizione sopraelevata, la Madonna regge Gesù Bambino in braccio e ha sotto di sé un cartiglio con la scritta “Venisti Catherina ut despondereris immortali sponso Christo”.

Nel centro di Almenno San Bartolomeo si trova anche l'affascinante Villa Veronesi, struttura nata a metà del XIX secolo come una cascina, ma che poi l'avvocato e pretore Giovan Battista Veronesi nel corso del XX secolo trasformò in una villa di campagna a tre piani, con un bellissimo giardino di oltre tremila metri quadri. Non possono, inoltre, essere dimenticate le altre splendide e importanti ville ad Almenno San Bartolomeo come Villa Malliana, Villa Quarenghi Visetti, Villa Albanesi, Villa Rota, tutte con una lunga storia.

Quanto ai musei, dal 1987 esiste ad Almenno il Museo del falegname, ideato da un imprenditore locale, Costantino “Tino” Sana, ex apprendista falegname diventato un grande imprenditore con la sua ditta (fondata nel 1964) specializzatasi in mobili per grandi navi da crociera, ristoranti, alberghi di lusso. I tre piani del Museo da lui voluto nel 1984, e via via ampliato sino al 2000, raccontano con oggetti originali la storia della lavorazione del legno dal XVII al XX secolo. Vi sono riprodotte, con i loro arnesi, le botteghe del seggiolaio, del modellista, del carraio, dell’intarsiatore, del bottaio, del liutaio.

Il cammino del visitatore prosegue attraverso il mondo rurale, dove tutto appartiene alla civiltà del legno, dai mobili di casa a una delle calzature più diffuse, lo zoccolo (ricordate “L'albero degli zoccoli”, capolavoro del regista bergamasco Ermanno Olmi?), dall’intrattenimento con la baracca dei burattini agli strumenti agricoli, fino alla sezione dedicata ai mezzi di trasporto: carri, carrozze, slitte, barche, persino un’automobile del 1924 e un aereo in legno della prima guerra mondiale. Al piano superiore si racconta quella che era la vita in via Vignola, un tempo la strada del centro di Almenno San Bartolomeo, con le sue botteghe e i suoi laboratori, il gelataio e il molita, l’ombrellaio e l'osteria, la lavanderia e il calzolario, il barbiere e il sarto. E c'è anche una sala dedicata alla bicicletta, dove sono esposti esemplari dal 1820 ai giorni nostri (c'è anche una bici tutta in legno realizzata da Sana), ma anche le maglie e le bici del grande campione orobico Felice Gimondi. Tino Sana ha anche messo a disposizione gli spazi attigui al Museo del falegname per farne una scuola, attrezzandolo con un’aula didattica, un’aula da disegno e un laboratorio per il corso professionale di falegnameria organizzato dall’ABF (Azienda Bergamasca Formazione) della provincia di Bergamo, in collaborazione con Confindustria e Camera di Commercio.

Interessante testimonianza di un'antica produzione locale è infine la Fornace Parietti, un importante opificio ottocentesco recuperato da un recente restauro, per il quale sono state adottate soluzioni architettoniche contemporanee. Qui la famiglia Parietti dal 1835 al 1960 produceva coppi e mattoni, utilizzando materiale estratto da vicine cave. Il grande forno è costituito da una galleria ottagonale, suddivisa in 16 camere voltate, con aperture arcuate per l'inserimento dei mattoni e condotti che convogliavano il fumo verso la ciminiera.

Testo di Roberto Copello; per le foto, si ringraziano invalleimagna.it (fornace), mapio.net (esterno chiesa), Comune (esterno museo), museotinosana.it (interno museo).

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