Il tempo dell’attesa è l’acerrimo nemico di una performance e un’Olimpiade è un enorme, affascinante incubatore di attese. Aspettare la pistola dello starter, girare lo sguardo sul colore della bandiera del salto in lungo, scrutare un fotofinish che immortala distanze di millesimi di secondo. Ma quando i riflettori si spengono, l’Olimpiade ripaga tutti con l’accesso nella storia nobile dello sport, in un racconto collettivo da sgranare anno dopo anno.
La XXIIIsima edizione dei Giochi moderni è alle porte e proviamo per qualche minuto a ingannare l’attesa dell’accensione della fiamma olimpica a Parigi, in Francia (il 26 luglio) scorrendo le immagini olimpiche di repertorio, raccolte dal Centro di Documentazione del TCI (www.digitouring.it).
LONDRA 1948
Regina assoluta dell'edizione che seguì la fine del Secondo conflitto mondiale (e che non si doveva tenere a Londra) è Fanny Blankers-Koen, un'olandese volante che si aggiudicò 4 ori nei 100m, negli 80m ostacoli, nei 200m e infine nella 4x100m. Fu invece Bob Mathias a entrare nella storia a cinque cerchi primeggiando nel decathlon a 17 anni. E fu l’edizione che lanciò nella regina degli sport Emil Zatopek, argento nei 5000m e l’oro nei 10000m. Cui rispose invece la consacrazione della Svezia del mitico trio GRE-NO-LI: Gunnar Gren, Gunnar Nordhal e Nils Liedholm.
HELSINKI 1952
In piena Guerra Fredda i finlandesi fecero le cose con molta cura costruendo addirittura tre villaggi olimpici: uno per gli occidentali, uno per il blocco sovietico – al suo debutto come URSS - e uno per le donne. 69 le nazioni che mandarono i loro atleti nei Giochi che consacrarono l’ascesa dell’Unione Sovietica nel ruolo di anti-USA. Per loro 71 medaglie, solo 5 in meno degli americani.
Il resto dell’Est non stette alla finestra e sia l’Ungheria che la Cecoslovacchia fecero incetta di medaglie. A spingere al successo le nazioni dell’Est fu il sistema del “dilettantismo di stato”: gli atleti, mantenuti dallo stato, potevano dedicarsi interamente allo sport. E l’Italia? Non andò male, con 21 medaglie e l’incoronazione di Edoardo Mangiarotti nella scherma.
MELBOURNE 1956
Per la prima volta un Paese dell’emisfero australe organizzò un’Olimpiade. Furono giochi disertati da molte nazioni in conflitto con la repressione sovietica in Ungheria (assenti tra gli altri Spagna, Olanda e Svizzera).
A segnare la XVI olimpiade fu “La partita del sangue nell’acqua”, in cui URSS e Ungheria appunto portarono nella vasca da 50 metri una belligeranza ben lontana da una partita di pallanuoto, che si trasformò in una gara di colpi bassi e antisportività. Fu solo la cerimonia conclusiva a sciogliere le tensioni. Gli atleti sfilarono infatti in ordine sparso e senza vessilli nazionali.
ROMA 1960
Eccola l’Italia, che organizzò in pieno boom economico una splendida olimpiade e riuscì anche a imporsi al terzo posto nel medagliere con 13 ori, 10 argenti e 13 bronzi. Grandi le imprese nel ciclismo (5 vittorie su 6 gare), nel pugilato (Nino Benvenuti battè un emergente Cassius Clay), e memorabili le imprese di Livio Berruti.
Se in pista il buon Berruti bruciò per la prima volta nella storia gli americani sulla distanza dei 200 metri piani, sui rotocalchi (erano annate di Paparazzi…) fece scalpore per la liaison con la campionessa della velocità Wilma Rudolph, con terzo incomodo (!) Muhammad Alì. Icona dei giochi fu però Abebe Bikila. L’atleta etiope, guardia del corpo dell’imperatore Hailie Selassie, trionfò nella maratona correndo a piedi nudi e portando al traguardo con sé un intero continente e il movimento anticolonialista.
TOKIO 1964
Yoshinori Sakay nasce il 6 agosto 1945 a Hiroshima, nello stesso giorno in cui esplose la bomba atomica sulla città giapponese. È lui l’ultimo tedoforo scelto per accendere la fiamma olimpica della XVIII Olimpiade, forse in un gesto di riconciliazione del Giappone con una ferita che il mondo in guerra gli aveva inferto.
Il Giappone non andò affatto male nel medagliere, arrivò terzo. Ma la regina dell’Olimpiade fu Larisa Latyna. La ginnasta ucraina, ormai trentenne aggiunge 6 medaglie a quelle conquistate a Melbourne. Nella sua carriera ne mise al collo ben 18, un traguardo mai eguagliato.
CITTà DEL MESSICO 1968
2 ottobre 1968. Città del Messico. La polizia messicana spara sulla folla di 3000 persone riunite sulla Plaza de las tres Culturas di Tlateoico, in opposizione all’occupazione dell’Università Nazionale Autonoma del Messico da parte delle forse dello Stato. Fu una carneficina a cui seguì pochi giorni dopo la giornata inaugurale della XIX Olimpiade. La cappa di terrore non ostacolò le imprese degli atleti. Dick Fosbury rivoluzionò lo stile del salto in alto e i velocisti, favoriti dall’altura e dall’impiego del tartan sulle piste, polverizzarono record su record.
Fu un gesto però a scrivere la storia di quella edizione. I due velocisti afroamericani Tommie Smith e John Carlos, sul podio dei 200 metri piani, alzarono insieme al cielo il pugno chiuso in un guanto nero. No alla discriminazione e sostegno all’Olympic Project for Human Rights, sostegno condiviso anche l’unico bianco del podio, Peter Norman, che indossò una coccarda dell’associazione. La carriera dei tre ribelli finì in quel momento, ma la storia gli rese onore.
L'ARCHIVIO DEL TCI, SU DIGITOURING
Queste e altre straordinarie immagini di repertorio sono reperibili con l'accesso al sito www.digitouring.it, il sito web su cui è possibile visionare il prezioso materiale del Centro di documentazione del Tci. Il sito Digitouring, che vi invitiamo a consultare, è l'occasione per scoprire migliaia di immagini, centinaia di carte storiche e intere annate della Rivista Mensile dei primi anni del Novecento.