«La storia siamo noi. Siamo noi questo piatto di grano». Si potrebbe partire dal verso di questa canzone di Francesco De Gregori per raccontare lo spirito della cooperativa Terra di Resilienza Monte Frumentario di Morigerati, piccolo borgo Bandiera Arancione del Touring Club Italiano, alle porte del Parco del Cilento. Una cooperativa fondata nel 2012 per dare forma concreta alla convinzione che la terra sia innanzitutto un bene comune, che le pratiche con le quali viene lavorata e sfruttata debbano rispondere a logiche che siano economiche ma anche, forse soprattutto, sociali. E ha scelto per farlo il cereale più antico, quello che ha plasmato territori e popoli nei secoli: il grano. Terra di Resilienza coltiva grano in terreni “condivisi” e lo macina in un proprio mulino, per produrre farine di alta qualità che rimandano a pratiche e sapori del passato. “Grani antichi” per davvero, insomma, non solo come categoria di marketing.
«Ora in molti parlano di resilienza, anche a sproposito – spiega uno dei fondatori e anima della cooperativa, Antonio Pellegrino – noi l’abbiamo messa nel nostro nome dal 2012, ma è da molto prima che abbiamo fatto nostro il principio di adattarsi alla natura seguendo principi di sostenibilità e condivisione». Sostenibilità e condivisione sono due parole chiave nel lavoro di questo gruppo di contadini-attivisti che rifiuta l’immagine stereotipata della vita di campagna e del ritorno alla terra, spacciata a buon mercato sugli scaffali dei supermercati, e con la pratica agricola che s’ispira ai lasciti di chi il contadino lo ha fatto per millenni prova a proporre un modello alternativo di economia, rispettosa del territorio e delle persone.
Un progetto ambizioso che si articola su diversi livelli. Il primo è la Biblioteca del Grano: «Un campo sperimentale – spiega Antonio – nel quale coltiviamo diverse varietà di grano in piccole parcelle. Al suo interno, vengono riprodotte annualmente, molte varietà locali, ma anche varietà di altri territori, grani moderni e miscugli». Proprio come gli scaffali di una biblioteca nei quali però il sapere ha la forma semplice di una spiga. L’avventura della Biblioteca del Grano, come buona parte della filosofia che sta alla base del lavoro della cooperativa, è partita dall’esperienza del Palio del Grano, un evento che coinvolge molte comunità della zona attraverso la pratica arcaica della mietitura. «Abbiamo creato il Palio nel 2005 – racconta Antonio – proprio per dare una nuova vita a questa tradizione e riavvicinarci alle radici di queste terre. È una vera e propria gara di mietitura: un campo a Caselle in Pittari (circa 6 chilometri più a nord rispetto a Morigerati) viene suddiviso in parti uguali e i rioni si sfidano a chi riesce, armato solo di falcetto, a mieterlo per primo. La manifestazione è partita quasi come un gioco 15 anni fa e ora è diventata un appuntamento molto importante e sentito in tutta la zona che richiama sempre più persone».
Il Palio, che va in scena la terza settimana di luglio, riunisce migliaia di persone intorno a un campo di grano, la comunità, con spirito goliardico e di festa, si specchia nella sua storia. Un’esperienza “seminale”, che ha fatto sorgere nuovi progetti e iniziative, in cui terra e fatica non sono più nemici da sconfiggere ma opportunità da sfruttare, in cui la lontananza da circuiti industriali e commerciali diventa un valore aggiunto. «Cerchiamo di trasformare la terra dello svantaggio in terra del vantaggio – dice Antonio – per riprogettare il futuro di questi territori, evitando di fermarci alla ruralità da cartolina, al folclore, che piace all’industria alimentare e agli addetti di marketing». Così le pratiche e gli strumenti antichi, ma anche la scienza, intesa come sapere ed esperienza, tornano a essere elementi identitari intorno ai quali pensare a un nuovo possibile sviluppo. «I paesi dell’Appennino sono una grande scuola di adattamento e di diversità, sono uno spazio di futuro tutto da sperimentare».
Le azioni di queste comunità cilentane nascono intorno alla necessità di ridare vita ai borghi e ai territori colpiti dallo spopolamento progressivo iniziato negli Sessanta e Settanta, ma anche dalla riflessione sui meccanismi che hanno trasformato i luoghi delle proprie origini, del lavoro e delle tradizioni millenarie, in gusci vuoti riempiti dalle esigenze di un sistema produttivo lontano e opportunista. Nel patrimonio spirituale di Antonio c’è il suo “lavoro” di bambino insieme al nonno che mieteva il grano e lui impegnato a fare su e giù dalla fonte per portare l’acqua, ma anche gli anni di studio all’università (è laureato in Sociologia) nei quali ha dato forma teorica all’evoluzione della sua terra.
Un intellettuale diventato contadino, con l’idea che identità e cultura non possano essere solo concetti, ma prima di tutto vita e lavoro. Con tutte le difficoltà del caso. «Oggi – racconta – ha piovuto, abbiamo lavorato tutto il giorno in campo per evitare che il grano si rovinasse. C’è un detto da queste parti, Acqua a Giugno arruina u munno, un altro esempio di quanto la saggezza popolare sia vera. E alla pioggia si aggiungono i cinghiali, la cui popolazione è cresciuta a dismisura negli anni, tanto che si può dire che nel Parco del Cilento ci siano più cinghiali che abitanti. E sono una vera calamità per le coltivazioni». Perché la lotta di Antonio e della sua cooperativa non è solo “politica”, ma anche reale, contro la natura, i suoi meccanismi inevitabili e i suoi capricci dispettosi.
Una lotta che, per Terra di Resilienza, non si può però combattere da soli, ma solo con la forza della comunità. Coltivare il grano non è un’esperienza solitaria ma sociale. L’idea del Monte Frumentario nasce anche da qui. I monti frumentari nacquero nel XV secolo come enti mutualistici per prestare, con un interesse minimo, ai contadini più poveri (che spesso finivano per mangiare anche quella parte destinata alla semina) il grano per la semina. «Abbiamo ridato vita a quest’antica istituzione popolare che l’Unità d’Italia aveva cancellato già alla fine dell’Ottocento. Il Monte frumentario si basa sulla rete di relazioni informali, che rende i soggetti coinvolti cumpari. Chi riceve il seme che distribuiamo diventa cumpare e si impegna a mantenere certi standard, dalla coltivazione alla mietura fino alla macinazione». Il mulino del Monte Frumentario, aperto dalla cooperativa qualche anno fa, «riappropriandoci di attività abbandonata da decenni», sottolinea Antonio, utilizza la tecnica di macinazione a pietra, l’unico metodo per la produzione di farine di alta qualità in grado di preservare le qualità organolettiche del grano.
Fedele al suo orientamento sociale e inclusivo, dal movimento cresciuto intorno alla cooperativa è nata anche l’esperienza del Forno di Vincenzo, un laboratorio di panificazione di Eboli (Salerno) gestito da Vincenzo Bardascino, affetto dalla sindrome di Martin-Bell, una malattia genetica rara che causa disturbi psichici spesso simili all’autismo. «Una realtà bellissima e in continua crescita – dice Antonio – Vincenzo è il nostro ministro delle belle emozioni». È proprio vero, come recita un altro detto contadino, che “Chi semina buon grano, ha poi buon pane”.
Per farsi un’idea della filosofia e dell’attività della cooperativa Terra di Resilienza Monte Frumentario e ordinare le loro farine prodotte con varietà di grano autoctono si può visitare il loro sito o la pagina Facebook.
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Testo: Luca Tavecchio - Foto: Cooperativa Terra di Resilienza, Cesura / Luca Santese (prima nel testo)