"È la prima volta che vengono esposte insieme le opere di detenuti in quattro istituzioni carcerarie milanesi" spiega Patrizia Rossetti, presidente dell'associazione dEntrofUoriars, che si prefigge di promuovere il reinserimento sociale dei detenuti nell’ambito del patrimonio artistico culturale italiano". "Ed è per noi estremamente importante: perché il carcere che dà frutti è quello che diventa fucina di cultura, che abbatte l'ignoranza, che dà opportunità di ripensamento al proprio comportamento. Noi siamo convinti che cultura, bellezza, conoscenza siano strumenti che aiutano a comprendere e capire; e che l'arte sia uno strumento di speranza e dialogo con la società civile".
L’inaugurazione della mostra, aperta a tutti, si è tenuta giovedì 26 ottobre alla presenza dei quattro docenti di pittura, curatori della mostra. Mariuccia Roccotelli ha raccontato di insegnare da quattro anni all'interno dell'Istituto Penale per i Minorenni di Milano “Beccaria”. "Spesso ci dobbiamo confrontare con ragazzi con evidenti problemi di alfabetizzazione, soprattutto dai paesi arabi. Con loro abbiamo affrontato diversi temi da esprimere nella creazione artistica: per esempio quello del cyberbullismo, oppure quello della bugia e della verità - ben rappresentato da un'opera su Pinocchio - o ancora del tempo. Il tempo accompagna i ragazzi nel loro tormento: la domanda quotidiana che si fanno è sul tempo che dovranno ancora rimanere dentro le mura del carcere".
"Io insegno arte nel carcere di Bollate ormai dal 2011" ha spiegato Renato Galbusera. "La prima volta vi sono entrato con un'emozione fortissima, poi a mano a mano che sono passati gli anni è maturata in me la convinzione che la società civile dovrebbe invadere i carceri, sarebbe necessario far cadere la barriera fisica e ideale che ancora resiste. E ho l'idea che la pittura sia un mezzo duttile che permette di uscire dal buco della serratura". Tra i tanti temi sviluppati dagli allievi detenuti di Galbusera, quello della fenice, l'idea della natura nella fotografia, Piero della Francesca, la costituzione italiana.
Valentina Marzani lavora invece come arteterapeuta al carcere di San Vittore. "La possibilità di raccontare e raccontarsi attraverso l'arte è per i detenuti qualcosa di importantissimo. Nessuno può dire loro se il loro lavoro sia bello o brutto. Tutto è accettato, tutto diventa una possibilità. Per molti di loro lavorare con l'arte è davvero l'unico momento in cui ci si può ascoltare a prescindere dall'aspettativa esterna".
"Nel carcere di Opera dove insegno" conclude Chiara Mantovani "i detenuti reclusi nella sezione di massima sicurezza hanno spazi molto ristretti e pochissime possibilità di attività: ogni strumento può essere considerato un'arma, ogni piccolo progetto deve ricevere approvazioni. Io provo a assecondarli nella loro richiesta di materiali e soggetti: ognuno dovrebbe essere libero di esprimersi come meglio crede. C'è chi ha preferito il mosaico, chi ha iniziato a costruire modellini di barche con cassette della frutta, veri e propri simboli di libertà". Spesso questi detenuti non possono avere alcun oggetto nelle loro celle, al massimo una radiolina am/fm. Anche un disegno da regalare ai propri figli, nel momento delle visite con i parenti, diventa oro, toglie il senso dell'inutilità che dà la reclusione. "A me chiamano la professoressa del colore" sorride Mantovani "vedere il colore dà speranza, fa sentire la vita".
INFORMAZIONI
“Rinascita”
Da giovedì 26 ottobre a domenica 5 novembre, dal mercoledì alla domenica dalle 14 alle 18.
Il Touring Club Italiano accoglie i visitatori alla mostra con i suoi volontari impegnati nel progetto Aperti per Voi.